Roma è bagnata dal mare, ma non lo vede. Ostia, periferia da 300 mila abitanti, spiaggia dell’Urbe, è la Suburra della criminalità organizzata prima di Mafia Capitale, palude fertile in passato per la Banda della Magliana e i camorristi di Senese e ancora oggi per gli spietati clan Triassi, Spada e Fasciani, un avamposto dei fascisti di CasaPound; ma oltre il fango dell’unico municipio di Roma commissariato per mafia il mare c’è e potrebbe essere l’ultima attrattiva per i turisti che giungono da tutto il mondo. Purtroppo, fatto salvo per ottocento metri o poco più, nella zona urbana del Lido di Ostia il mare si può solo intuire per colpa del Lungomuro dei balneari: i varchi aperti dall’ex assessore Alfonso Sabella nell’aprile 2015 non si vedono già più. Lucchetti, cancelli, cemento, recinzioni e abusi sull’arenile, quasi nessun accesso libero alla spiaggia garantito per otto chilometri.
Gli stabilimenti balneari sorgono su spiaggia del Demanio dello Stato, le loro concessioni costano da 0,90 centesimi a 4 euro al metro quadrato l’anno: per un chiosco di quaranta metri quadri significa 600 euro l’anno, con una potenzialità di guadagno mostruosa. Molti stabilimenti dovrebbero fatturare milioni di euro, ma è difficile ottenere uno scontrino per l’affitto di un ombrellone. Il dato nazionale dell’Agenzia delle Entrate è allarmante: in tutta Italia, nel 2014, ha pagato circa la metà dei balneari, lo Stato ha incassato solo 105 milioni, ma il giro d’affari tocca i 2 miliardi.
Cominciamo la nostra passeggiata da piazza dei Ravennati, il centro di Ostia. Per arrivare alla spiaggia bisogna infilarsi in stretti vialetti, ai lati del molo, lungo due stabilimenti. Il primo grande stabilimento, direzione sud, è il Battistini. Ha una concessione per 4300 metri quadri, un canone dovuto di circa 24 mila euro l’anno, ma la spiaggia recintata e calpestabile soltanto passando dall’ingresso del Battistini è di almeno 12 mila metri quadri. Sbirciando dall’inferriata non si può evitare di notare strutture con tutta la caratteristica di abitazione privata, con caldaia, climatizzatore e antenne tv. Proseguiamo oltre camminando rasente il Lungomuro: lo stabilimento Lido, il ristorante Lido, il ristorante Maestrale. Ecco il Marechiaro, una concessione per più di 20 mila metri quadri di superficie occupati al prezzo di quasi 50 mila euro l’anno: citofoni, catene ai cancelli e all’interno si scorgono strutture con canne fumarie e muro di cinta oltre alle normali cabine per i bagnanti.
Dopo il ristorante El Miramar c’è un curvone e un raggio di sole, un pezzetto di spiaggia libera, pochi metri quadri su piazzale Magellano, qui anche un chiosco, proprietà della famiglia Balini. Altri stabilimenti: il Capanno, Delfino. E il Belsito, anche qui cabine e poi quella che difficilmente non è un’abitazione. Stessa cosa al Plinius, casetta con comignolo, antenna e parabola. Siamo arrivati in piazza dei Canotti, il Lungomuro qui dà tregua a un altro piccolissimo pezzetto di spiaggia libera, dominata però dal maxi-chiosco Akuna Matata. Abusi edilizi evidenti a marzo hanno portato i vigili comandati da Antonio Di Maggio a porre i sigilli: sequestrata una parte che nella concessione non compariva e che dovrebbe essere solo spiaggia libera, ma il bar è in piena attività. La concessione demaniale, anche qui, fu ottenuta dalla famiglia Balini, ma per lungo tempo la gestione effettiva è stata nelle mani di Cleto Di Maria: nel suo passato una condanna per narcotraffico assieme al suocero Gennaro Senese, fratello del pezzo da novanta della camorra Michele e caro amico di Mauro Balini, appunto.
Claudio Saccotelli, ex direttore del municipio, invece di revocare la concessione a Balini pensò bene di convocarlo per suggerirgli di non far gestire il bar proprio a quel discusso amico. Saccotelli è lo stesso dirigente che, caduta la giunta Marino, inviò all’ormai ex assessore Sabella questi messaggi: “Perché continua a dire che i dirigenti e gli uffici di Roma Capitale sono difficilmente recuperabili? Ma quando torna a fare il magistrato in Sicilia dove ci sono dirigenti onesti e preparati?”. “Noi romani onesti possiamo riappropriarci della nostra bella e amata città”, con a seguire tre calici per brindare all’addio di Sabella.
Dopo il drink all’Akuna Matata, la passeggiata prosegue incontrando il Tibidabo Beach e Le Dune: in totale i due stabilimenti potrebbero occupare quasi 23 mila metri quadri, ma basta una verifica satellitare per accorgersi che le strutture costruite eccedono e non di poco. Nel periodo di Natale una grande parte utilizzata per cene ed eventi è stata smantellata dalla sera alla mattina. La concessione de Le Dune fa capo a Renato Papagni, capo nazionale dei Balneari. Si deve a lui il Polo natatorio di Ostia, che sorge proprio davanti al suo stabilimento, e che è stato realizzato per i Mondiali di nuoto del 2009, ma mai utilizzato per gare ufficiali a causa di un errore nella costruzione delle piscine, più lunghe di un metro e mezzo rispetto a quelle regolamentari di 50 metri. Passiamo oltre e notiamo un’altra casetta, con pergolato, antenna e parabola, il Cral, la Lega navale e il Med con ombrelloni in riva al canale dove non dovrebbe essere consentita la balneazione.
Siamo arrivati all’altezza della penultima stazione della Roma-Lido, chi scende qui dal trenino trova il cartello col simbolo del mare. Pochi passi e, speranzoso, l’aspirante bagnante potrà perdersi nella vista di un orizzonte tra cielo e… muro. Tra gli stabilimenti Vecchia Pineta e Pinetina, dove dovrebbe esserci un varco c’è un cancello chiuso. Dall’inferriata scorgiamo dentro la Pinetina l’ennesima casetta provvista di antenna e canna fumaria. C’è una persona, chiediamo se si tratta di una maxi-cabina. La risposta: “È casa dei padroni dello stabilimento”. Dopo pochi metri c’è addirittura una sorta di discarica. La concessione della Pinetina risulta a Franco Petrini.
Poco più avanti, tra il Kursaal e la Rotonda Shilling, stabilimenti della famiglia Balini, dovrebbe esserci un varco a mare: fu aperto il 14 aprile 2015 con le ruspe da Sabella alla presenza del sindaco Ignazio Marino, è stato rimesso un cancello, serrato con catena e lucchetto. Continuiamo la camminata. Sporting beach, si scorge dentro un’altra casa. Ecco il Gambrinus, il parcheggio dall’altra parte della strada è stato sequestrato pochi giorni fa, essendo stata spianata un’area verde sotto tutela. Lido Azzurro, Orsa maggiore, Cral Atac. Quindi lo stabilimento dell’Esercito; anche qui dall’altra parte della strada dovrebbero esserci delle dune tutelate: c’è una spianata per le auto di militari e famiglie che volessero trascorrere qualche ora al mare. La Mariposa, Zenit, Nauticlub Castelfusano, Marina militare, Le Palme, V-Lounge beach, La Caletta. La Casetta, concessione appena scaduta, sequestrata lo scorso fine settimana dagli uomini di Di Maggio su ordine del prefetto Domenico Vulpiani: abusi edilizi. Stabilimento del ministero della Giustizia, La Bicocca. Il Lungomuro lascia spazio a una grande cancellata, è l’ingresso dell’Associazione Maresole: arrampicandosi un po’ si scorge il villaggio delle “villette dei vip romani”.
Verso sud altri sette stabilimenti prima di imbattersi in un’interruzione del Lungomuro. C’è una struttura in legno, abbandonata a se stessa – almeno si può accedere gratis alla spiaggia – dai ragazzi dell’antimafia di Libera e dello sport non agonistico della Uisp. Le due associazioni si sono fatte da parte quando sono emerse vecchie irregolarità nella concessione, precedenti alla loro gestione e così è morta l’unica esperienza di modello diverso d’uso della spiaggia rispetto a quello dei balneari. Ancora nove stabilimenti e Ostia si perde tra le dune di Castelporziano e Capocotta: altri abusi e altri sequestri. Ma ritorniamo nel cuore di Ostia, al molo di piazza dei Ravennati, per procedere in senso opposto, verso nord: un’altra decina di stabilimenti, tra cui il Village, in passato gestito dai Fasciani e già finito in amministrazione controllata. Il punto più bello del Lido è oltre questi ultimi stabilimenti, perché qui ci sono circa ottocento metri senza Lungomuro, per passeggiare osservando il mare.
Siamo arrivati al Porto turistico, proprietà di Mauro Balini, 51 anni, già arrestato e scarcerato per bancarotta fraudolenta, riciclaggio, impiego di denaro, beni e utilità di provenienza illecita. Dieci giorni di carcere per Balini nell’estate 2015, poi rimesso in libertà dal Riesame. Ma l’inchiesta della Procura prosegue. E Balini tempo prima aveva anche chiesto l’ampliamento del porto: il 40 per cento in più per grandi yacht. La giunta di Gianni Alemanno, sindaco poi finito dentro l’inchiesta su Mafia Capitale, approvò. L’iter fu interrotto durante la breve epoca Marino dalla dirigente di Ostia Cinzia Esposito, ma un’altra manina in Campidoglio rimise il progetto in pista, poi comunque bloccato da inchieste della Procura e da una segnalazione della banca tedesca Pbb a Banca d’Italia per un anomalo giro di denaro. Comunque sia, Balini, per il suo Porto, aveva già ottenuto dalla Regione Lazio una proroga della concessione addirittura fino al 2066. Firmata Luca Fegatelli, già dirigente dell’Agenzia regionale dei beni confiscati alla mafia, e arrestato nel 2014 per associazione a delinquere finalizzata al traffico di rifiuti.
La battaglia per abbattere ingiustizie e Lungomuro a Ostia s’infrange sempre contro qualcosa: le fiamme che avvolsero nel 2000 auto e parte dell’abitazione di Angelo Bonelli, leader dei Verdi, che non ha mai smesso di denunciare il malaffare lidense; o la fine della giunta Marino e l’addio di Sabella. L’associazione Mare Libero invoca da mesi la nomina dell’ex assessore a commissario straordinario al Demanio, anche con un appello al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Intanto l’opera di digitalizzazione delle informazioni catastali italiane per l’Europa è stata avviata da Gabriella Alemanno, vicedirettrice dell’Agenzia delle Entrate. In quei dati catastali ci sono anche le spiagge di Ostia. La sorella dell’ex sindaco Gianni, è stata iscritta nel registro degli indagati per concorso in abuso d’ufficio. Ma questa è un’altra storia, lontana da Ostia, come il mare.