A quindici anni Adriano Monti è già un reduce. È il 25 aprile 1945, giorno della Liberazione e lo troviamo a vagare per le campagne lombarde in direzione della sua casa di Bergamo. La città è sede dell’Ufficio per le relazioni energetiche del ministero delle Corporazioni della Repubblica di Salò. È qui che lavora suo padre. Ed è qui che la famiglia si è trasferita dopo l’8 settembre del ’43 dalla Toscana.
Vestito di una divisa nuova delle Ss e con un mitra in mano, attraversa la desolazione della sua parte sconfitta. La sua guerra mondiale è durata il tempo di iscriversi volontario alle Ss internazionali e finire quasi morto sotto i colpi di un bombardiere all’altezza del monte San Bernardo, nelle Alpi di Cuneo. Un segno alla testa che gli darà qualche fastidio, il coma, l’ospedale, poi il ritorno verso casa, l’arresto a opera dei partigiani, il trasferimento in un campo di prigionia americano non lontano da Pisa.
Sessant’anni dopo, nel 2005, Adriano Monti è un signore quasi dimenticato. Certo, è finito un anno in carcere nel 1975 nell’ambito dell’inchiesta sul golpe Borghese, ma poi, dopo essere anche espatriato in Francia, è finito pure assolto. Così, per tutti, compresa la moglie e i due figli, in quel 2005 è ancora, fondamentalmente, un tranquillo ginecologo che, dopo un’esistenza spesso in giro per il mondo, vive la parte finale della sua vita in una casa del Reatino. La sua copertura è durata oltre mezzo secolo. E cade proprio in un giorno del 2005, quando su Repubblica viene fuori la storia della sua appartenenza alla Rete Gehlen.
Reinhard Gehlen, conosciuto anche come Herr Doktor, è una figura quasi leggendaria di agente segreto uscito indenne dai rovesci della storia. Spia già all’epoca di Adolf Hitler e del Terzo Reich, aveva costruito le sue fortune grazie alla penetrazione nel cerchio stretto dei collaboratori di Josip Stalin.
Quando la fine del conflitto mondiale schiacciò la sua Germania dentro il maglio della guerra fredda Usa-Urss, quel reticolo di conoscenze fece ancora la sua fortuna, tanto che fino al 1968 fu a capo del Bundesnachrichtendienst (Bnd) il servizio segreto dell’allora Germania Ovest. Ma è nei primi anni del dopoguerra che Gehlen mette in piedi la sua rete di uomini fidati in contatto con Nato e Cia. Tra questi c’è Otto Skorzeny, l’uomo che Hitler mandò a liberare Benito Mussolini a Campo Imperatore nel settembre del 1943 e che fino alla sua morte troverà casa e lavoro (di spia anticomunista al servizio di Gehlen) nella Madrid di Francisco Franco.
Nel 1947, quando la Rete Gehlen inizia a muovere i suoi passi nell’Europa liberata – prima come agenzia di viaggio dei nazisti diretti a ingrossare le file dello spionaggio americano, poi come macchina di controspionaggio vera e propria – il giovane Adriano vi aderisce con convinzione. E in questa ottica continuerà a studiare, a diplomarsi e a laurearsi in Medicina. Per loro adesso è “Siegfried”.
Nel bel libro che Adriano Monti scrive in prima persona con Alessandro Zardetto Nome in codice Siegfried c’è tutta la storia, sua e del Paese. Monti, che ha già dato alle stampe negli anni scorsi due libri, (Il Golpe Borghese: parola d’ordine Tora Tora, un golpe virtuale all’italiana e Obiettivo Petra. Attentato a Kissinger e a Re Hussein) prova a mettere assieme tutta la sua esistenza da spia.
E solo nel breve riassunto che ne fa sembra di vedere un film più che la vita di un solo uomo: “Sono stato volontario nelle Ss, prendendo in seguito parte all’Operazione Odessa; ho contribuito al tentativo di evangelizzazione dell’Urss, in chiave anticomunista, con l’operazione Chiesa del silenzio, che ancora mai nessuno ha raccontato; ho difeso l’Italia dalla minaccia del Kgb e di un’invasione sovietica a lungo ventilata durante la Guerra fredda; sono stato in missione in Egitto in concomitanza con la Guerra dei sei giorni; in Libano, al fianco del presidente Pierre Gemayel, contro i palestinesi; al confine tra Swaziland e Mozambico negli anni caldi della guerra civile e, infine, nei Balcani nei momenti drammatici della disgregazione della Iugoslavia e dello scontro serbo-croato dei primi anni Novanta”.
Tutto questo continuando a fare il ginecologo. Nell’incredibile vita di “Siegfried” – che si può paragonare all’Igor Markevic di Giovanni Fasanella o al Conforto di Professione Spia di Francesco Grignetti, ma anche ai personaggi che si agitano dietro il Romanzo criminale di Giancarlo De Cataldo – si comprende meglio la storia del Paese.