“Ti apro la pancia, brutta puttana”. Buongiorno. Neanche il tempo di aprire gli occhi e già capisci come andrà la giornata. Uno, due, dieci messaggi; quindici squilli anonimi, e non sei neanche uscita di casa. Un biglietto sulla macchina, “Troia”, proprio mentre stai facendo salire i bambini. Ti guardi attorno, convinta che ci siano i suoi occhi a spiarti, nascosti da qualche parte. In ufficio la tua collega ti viene a dire che l’ha chiamata, si è mostrato gentile e premuroso, innamorato di te e in pena per i vostri figli: le ha chiesto di convincerti a tornare insieme. E lo stesso ha fatto con tua madre. Come se fosse un’altra persona. Inutile provare a dire che si è rivelato un mostro, l’uomo che hai sposato dieci anni fa e che poi hai deciso di lasciare perché l’amore, spesso, finisce. L’amore finisce, il possesso no, almeno secondo lui che non si rassegna: sei roba sua, perché la donna appartiene all’uomo, è così che gli hanno insegnato, sua madre non ha mai abbandonato suo padre come stai facendo tu. E dire che l’hai già denunciato. Stalking, si chiama, e c’è una legge e c’è un articolo del Codice penale, il 612 bis, che punisce chi commette atti persecutori con una pena da sei mesi a cinque anni, pena aumentata se “il fatto è commesso da coniuge (anche ex) o da persona che sia stata legata da relazione affettiva”. La denuncia sta facendo il suo iter, è stato emesso un provvedimento di non avvicinamento, e (forse) lui lo rispetta anche. Ma tu hai paura lo stesso, temi che la sua ossessione si trasformi in omicidio. Il tuo.
Il testo del 2009, un buon testo
Il disegno di legge sullo stalking (dall’inglese to stalk: seguire, braccare) è stato approvato dalla Camera il 29 gennaio 2009. Il reato corrispondente è stato poi introdotto nel decreto sicurezza del novembre dello stesso anno (convertito nella legge 38/2009). Secondo l’Istat, tre milioni e 466 mila donne italiane hanno subito stalking nel corso della loro vita, una popolazione quasi pari a quella di Alessandria d’Egitto. Tra queste, un milione e 524 mila l’ha subito dall’ex. Il ministero dell’Interno ha calcolato che tra il 2014 e il 2015 (dati da marzo 2013 a marzo 2014, e poi dallo stesso mese del 2014 allo stesso mese del 2015) gli atti persecutori denunciati sono calati di 1.805 unità, passando da 11.834 a 10.029. Numeri che fanno comunque impressione, soprattutto perché non calcolano il non denunciato. L’associazione Telefono Rosa, che si occupa di violenza sulle donne e di stalking coordina un numero verde, il 1522, cui possono rivolgersi le vittime. Dal primo gennaio 2016 al 29 giugno, le vittime di stalking sono state 441, due/tre al giorno.
Portare a casa la pelle, quando è possibile
“Dopo l’estate aumenteranno – commenta sconsolata la presidente, Gabriella Carnieri Moscatelli –. È sempre così. Il problema è che purtroppo, a volte, non abbiamo soluzioni immediate da offrire. I posti nelle case sono pochi. L’altro giorno è venuta una donna laureata, mamma di due figli. Lei e suo marito vivono da separati in casa, ma lui la massacra di mail e telefonate. Ha paura di denunciare perché, giustamente, pensa: ‘Se lui lo viene a sapere e io non ho ancora una protezione, è peggio’. Lo farà non appena avremo un posto in cui trasferirla”. I posti nelle case-rifugio nel Lazio sono 12 per le donne e 15 per i bambini: una goccia nell’oceano.
Su cosa intervenire prima che sia tardi
“La legge del 2009 è un’ottima legge – prosegue Carnieri Moscatelli –. Il problema sono i tempi della giustizia. Le denunce finiscono sul tavolo dei giudici, che sappiamo come son messi. Passa troppo tempo tra la denuncia e la salvezza, per questo molte donne temono di aggravare la situazione. Faccio però un appello alle stesse vittime: quando fate una denuncia, portate tutte le prove, sms, telefonate, mail, trovate testimoni. Un giudice, senza prove, non può nulla”. E poi, ovviamente, bisognerebbe fare prevenzione: “A Roma, dieci anni fa, abbiamo avviato una sperimentazione nelle scuole che ha dato ottimi risultati” afferma la presidente di Telefono Rosa. Ora, invece, non si fa più niente: “Ci troveremo una generazione di violenti, perché con i nuovi strumenti tecnologici le persecuzioni sono più rapide e difficilmente arginabili. I ragazzi si scambiano le password al posto dell’anello”.
Non sottovalutare i campanelli d’allarme
Ma quando preoccuparsi? Quando cominciare a pensare che quei comportamenti insistenti forse non sono soltanto espressione di un grande amore? Innanzi tutto quando tutte quelle attenzioni sono non richieste; quando le telefonate o gli sms, anche in mancanza di risposta, si trasformano in insulti o in minacce; quando lo si ritrova appostato all’angolo ad aspettare; quando vengono da lui interessati gli amici o i parenti; quando ci danneggia l’auto. O quando (cosa che dovrebbe essere ovvia, ma ovvia – purtroppo – non è) parte il primo schiaffo. La maggioranza dei femminicidi è frutto di un climax, all’origine del quale si annoverano episodi di stalking. “Non esiste un ‘ultimo appuntamento’ – conclude Carnieri Moscatelli –, non lo concedete mai. E se proprio dovete incontrarlo, fatelo in compagnia della forza pubblica”.
Il reato è procedibile a querela, tranne nei casi in cui il fatto sia commesso nei confronti di un minore o di un disabile, insieme con un altro delitto perseguibile d’ufficio o nel caso in cui il soggetto sia stato precedentemente ammonito. Quest’ultima possibilità prevede che la vittima si presenti in caserma e chieda una forma di tutela: il molestatore (o la molestatrice) sarà chiamata e “ammonita”, senza che per questo si instauri un procedimento penale.
Come riconoscerli: identikit di un seriale
I carabinieri hanno individuato cinque tipologie.
1) Il “risentito” è un ex che vuole vendicarsi per la rottura della relazione causata, a suo avviso, da motivi ingiusti. È colui che lede l’immagine della persona (per esempio postando foto su Internet) o danneggiando cose di sua proprietà;
2) Il “bisognoso d’affetto” fraintende l’empatia e l’offerta di aiuto da parte dell’atra persona come segno di interesse sentimentale. Costoro non si fermano davanti al rifiuto e immaginano che, prima o poi, le cose cambieranno;
3) Il “corteggiatore” manifesta una pessima abilità relazionale che si traduce in comportamenti opprimenti ed invadenti. Ne sanno qualcosa Michelle Hunziker, Catherine Spaak, Monica Leofreddi e, uomo tra le donne, Flavio Insinna.
4) Il “respinto” è colui che compie atti persecutori in reazione a un rifiuto. È ondivago: passa dal desiderio di ristabilire la relazione a quello di vendetta;
5) Il “predatore” è lo stalker che ambisce ad avere rapporti sessuali con una vittima che può essere pedinata e spaventata. La paura, infatti, lo eccita.
La formazione degli operatori
Le donne vengono davvero tutelate? “Dipende da chi si trovano davanti – spiega l’avvocato Antonella Faieta, che assiste donne vittime di stalking e violenza –. Ci sono commissariati o stazioni dei carabinieri in cui il personale non è abbastanza competente, non sa compilare bene una denuncia o, peggio, minimizza il problema. Ce ne sono altri in cui il funzionario di turno lascia alla vittima addirittura il numero di telefono personale. La stessa cosa vale per i servizi socio-assistenziali. Servirebbe una formazione capillare: le donne vanno accolte e poi seguite. Non si può pensare di trasmettere una denuncia all’autorità giudiziaria e poi disinteressarsene”. Proprio per favorire il dialogo, la polizia, in via sperimentale, manderà un camper due sabati al mese in 14 città, da nord a sud. Il tentativo è quello di avvicinare le donne (o chi per loro, se le vittime non se la sentono) al personale. L’indicazione, sempre e ovunque, è la stessa: se un uomo comincia a perseguitarti, non aspettare, chiedi aiuto. Più andrai oltre, più sarà difficile bloccarlo.