Il referendum per abrogare l’Italicum non si farà. La raccolta del Comitato promotore si è fermata a 420mila firme, contro le 500 mila che servivano per presentare la richiesta in Cassazione. Ieri, 4 luglio, era l’ultimo giorno utile per la raccolta iniziata il 4 aprile scorso, ma l’obiettivo è fallito. “Abbiamo viaggiato con una buona tabella di marcia per due mesi, ma il black out dell’informazione e le difficoltà dovuto dal dover partire da zero ci hanno fatto perdere un mese. Ora la macchina è partita e siamo fiduciosi di raggiungere le 500mila per il No al referendum”, spiegano dal Coordinamento democrazia costituzionale, il comitato che sta raccogliendo anche le firme per il No al referendum sulla riforma costituzionale. Il termine ultimo per i banchetti, nel caso del quesito contro il ddl Boschi, è fissato al prossimo 15 luglio. Va ricordato però che il referendum costituzionale è un referendum confermativo, che si terrà al di là della raccolta firme perché ne ha già fatto richiesta un quinto dei membri della Camera. I referendari manifestano un cauto ottimismo: “Stiamo andando bene, ma potremo fare un conteggio nazionale solo quando le firme arriveranno a Roma, all’inizio della prossima settimana”, dicono. Ieri, in compenso, durante la direzione nazionale del Pd, Matteo Renzi ha rivelato che il Comitato per il Sì ha raggiunto 400mila firme. “Ce ne mancano ancora 100mila”, ha detto il premier.
Al comitato per il No fanno tesoro dell’esperienza fatta con il quesito sull’Italicum. “Abbiamo fatto tutto il possibile, ma non è stato abbastanza. Abbiamo pagato la nostra inesperienza, il fatto di non aver avuto aiuti da strutture organizzate sul territorio e ha contato anche il deficit informativo. Grandi difficoltà le abbiamo trovate nelle grandi città che hanno votato per le amministrative, dove era difficile catturare l’attenzione”, spiega Alfiero Grandi, uno dei promotori. Dal comitato ci si lamenta anche “del modo ottocentesco con cui la legge ti costringe a raccogliere le firme”. “Comunque, nonostante questa battuta d’arresto, il nostro principale obbiettivo resta vincere il referendum costituzionale di ottobre”, sottolinea Grandi.
Chiusa la via referendaria, a questo punto la legge elettorale potrà essere cambiata solo per via parlamentare oppure se costretti dalla Consulta, che il 4 ottobre dovrà pronunciarsi sull’ammissibilità del ricorso presentato contro la legge elettorale. Ieri, però, Renzi ha chiuso di nuovo la porta.
“Non vedo in Parlamento una maggioranza per una legge alternativa”, ha detto il presidente del consiglio. Ma nel Pd, nella maggioranza e nello stesso governo i pareri sono diversi. Ieri hanno ricordato al premier la necessità di intervenire sulla legge elettorale sia il ministro Dario Franceschini che gli esponenti della minoranza dem: “I numeri non ci sono? – dice Gianni Cuperlo – Proviamo a cercarli, altrimenti la partita del referendum sarà ancora più dura”. Insomma, la minoranza offre al segretario maggiore disponibilità sul referendum costituzionale in cambio di modifiche alla legge elettorale. Vedremo se, anche a fronte del vantaggio che trarrebbe il M5S dall’Italicum, il premier alla fine si lascerà convincere.