I cittadini lombardi potrebbero trovarsi a pagare due volte: la prima per le scelte fatte dall’allora presidente Roberto Formigoni e la seconda a causa della decisione dell’attuale governatore, Roberto Maroni, di ricorrere al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar – emessa tre mesi fa – che impone alla Regione Lombardia di risarcire il cittadino Beppino Englaro che, come hanno sancito i giudici, ha dovuto subire quella: “Natura dolosa del rifiuto regionale che ha reso ancora più gravosa la condizione del ricorrente”.
Englaro è, come sempre, chiaro: “Andremo fino in fondo. La violenza che mi hanno inferto talune istituzioni in quegli anni è stata inaudita. Nella nostra vicenda i due rami del Parlamento e la Regione Lombardia hanno ostacolato e calpestato ogni libertà e diritto fondamentale costituzionale del semplice cittadino”.
Inizialmente Maroni aveva dichiarato che la giunta non si sarebbe opposta alla sentenza del Tar poi l’inversione di rotta con la notizia del ricorso – uscita prima su La Repubblica che notificata agli stessi interessati – rispetto al merito della sentenza. Come se ciò bastasse a cancellare quella sorta di editto emanato dall’allora direttore generale della Sanità, Carlo Lucchina, con il quale veniva vietata, su tutto il territorio lombardo, la sospensione delle terapie imposte a Eluana. Quello che sembra spaventare il Pirellone sono le parole messe nero su bianco dal Tar: “A fronte di un decreto della Corte d’Appello di Milano contenente l’ordine di eseguire la prestazione richiesta”, ossia di sospendere le cure inutili e non accettate, “la Regione si era rifiutata deliberatamente e scientemente di darvi seguito, ponendo in essere un comportamento di natura certamente dolosa”. Ed è proprio la natura del “dolo” che brucia alla politica.
La nuova linea di Maroni non è chiara al legale della famiglia Englaro: “Che la Regione debba pagare non ci piove, ma la nuova prospettiva è che l’istituzione possa addirittura pagare di più – avanza l’avvocato Vittorio Angiolini -. Non capisco il perché di questa sorta di assunzione di corresponsabilità da parte dell’attuale giunta rispetto alla scelte della precedente”.
Beppino Englaro nel frattempo contestualizza quelli che definisce i suoi 25 anni di impegno civile.
“Nella nostra storia, la politica ha voluto agire con prevaricazione sulle libertà fondamentali della persona. All’apice di quei giorni – prosegue – fu persino sollevato un conflitto di attribuzione con la Corte suprema di Cassazione. La risposta di Vincenzo Carbone – primo presidente – fu esemplare perché sottolineava come il massimo organo non avesse in alcun modo travalicato il proprio specifico compito di rispondere alla domanda di giustizia del cittadino. Se non ci fosse stata una magistratura libera e non serva di alcun potere, io che fine avrei fatto?”.
Chiude con una considerazione amara: “In fondo, la nostra famiglia è stata perseguitata per la sua determinazione ad agire in assoluta legalità piuttosto che avvalersi di quelle scelte che ci venivano caldeggiate per evitare qualsiasi problema. Ciò che forse è anche peggio – conclude – è che il tema dell’autodeterminazione terapeutica in Italia rimane irrisolto: manca una legge specifica nel merito e si rischia dunque di replicare altri casi come il nostro”.