Non è possibile, certo che non è possibile un altro G8. Eppure Genova rimane un fantasma che si aggira tra i corridoi dei reparti mobili e, finché ci saranno notizie su quelli che appaiono trattamenti di ‘favore’ nei confronti di quei poliziotti, l’orribile parentesi di Genova non si chiuderà mai definitivamente”. A differenza del nuovo capo della Polizia, Franco Gabrielli, che non vuole parlare col Fatto di com’è cambiata la filosofia dell’ordine pubblico in questi 15 anni, l’opinione pronunciata a bassa voce da molti al Dipartimento è la stessa: mai più una Diaz, ma anche basta con le notizie che fanno – giustamente – infuriare la gente. Il riferimento ultimo, come ha scritto Ferruccio Sansa su questo giornale, è alla sanzione disciplinare di 47 euro e 57 centesimi inflitta dall’ex capo della Polizia, Alessandro Pansa – ora ai servizi segreti – a Massimo Nucera, condannato con sentenza definitiva a tre anni e cinque mesi di reclusione per falso (finse di essere stato accoltellato da un manifestante). La sanzione, che in origine sarebbe dovuta corrispondere alla sospensione di un mese dal servizio, è invece pari alla paga di una giornata di lavoro.
Il prossimo anno termineranno i cinque di interdizione dai pubblici uffici, pena accessoria confermata dalle sentenze della Cassazione del luglio 2012. Cosa faranno i poliziotti non ancora in età pensionabile? Rientreranno, e dove? È come se Genova non finisse mai.
Eppure l’ordine pubblico, dopo Genova, è realmente cambiato. Nel 2008, dopo una lunga gestazione, l’allora capo del Dipartimento di Pubblica sicurezza, Antonio Manganelli (scomparso tre anni fa), riuscì a inaugurare un “Centro di formazione per la tutela dell’ordine pubblico” a Nettuno, 50 chilometri a sud di Roma. Si sentiva la necessità di una riforma culturale, prima ancora che operativa, dell’attività in piazza. Da Nettuno passano migliaia di uomini: tutti i reparti mobili d’Italia, i funzionari, i ruoli apicali degli ispettori e gli istruttori di tecniche operative. Sono full immersion di due settimane o mini corsi di due giorni. Lezioni teoriche e addestramento, per curare la formazione – anche psicologica – e le modalità di intervento. Basta? “Bisogna migliorare ancora – spiega il segretario generale del sindacato di polizia Siap, Giuseppe Tiani – investire di più in equipaggiamenti, anche legali, e in formazione. Però posso dire con certezza che oggi, col fardello di Genova che ancora pesa, quell’esperienza è irripetibile”.
“Forse – si lascia scappare un funzionario del dipartimento – se all’epoca ci fosse stato il reato di tortura le cose sarebbero andate diversamente, anche da un punto di vista disciplinare”. Quindici anni dopo, il reato di tortura è ancora una chimera.