C’è amarezza e preoccupazione perché questi attacchi non producano odio nel continente” dopo l’uccisione di padre Jacques in Francia. Sono queste le prime parole che dice padre Ivan, soppesando ogni sillaba, all’interno delle mura della chiesa romana di Santa Maria in Vallicella, a due passi da San Pietro.
Dopo la morte di padre Jacquel Hamel, parroco della chiesa di Saint-Etienne-du Rouvary, e la rivendicazione dell’Isis, nel cuore della cristianità si respira preoccupazione ma si indica in modo lucido anche la strada da seguire. “Quando la fede – dice padre Ivan – si scolla dalla ragione produce il fanatismo”, ma il giovane prete riprende le parole di papa Francesco perché “questa non è una guerra di religione, mancano le due fedi che dovrebbero combattere questa battaglia”. Per padre Ivan il credo è un pretesto per “produrre il caos, la guerra civile”.
Per lui, però, chi esce davvero sconfitto è il sistema economico in cui viviamo: “La globalizzazione ha fallito, hanno vinto i mercati finanziari”. Cosa c’entra con lo sgozzamento di un parroco? “Fenomeni come questi accadono quando un sistema fallisce, e il nostro ha fallito” sentenzia padre Ivan, che conclude: “bisogna controllare chi arriva nei nostri territori e continuare ad accogliere”.
Davanti alla Basilica di San Pietro è un gran viavai di turisti che escono dalla piazza, delimitata con transenne di sicurezza. Tra loro tanti francesi. “È una cosa terribile – spiega una signora del Nord della Francia – mi chiedo che cosa vogliano, che guerra stiano combattendo i terroristi e contro chi”. Accanto a lei una coppia di giovani sposi originari dell’Iraq cammina tenendosi per mano, lui si chiama Alì e fa il farmacista, vive a Londra e proprio nella capitale inglese lo raggiungerà sua moglie Noor che ora vive in Australia per lavoro. “Io sono musulmana – dice lei che porta il velo avvolto intorno alla testa – ma questa non è una guerra di religione e l’unica risposta sensata è restare uniti contro i gruppi terroristici armati. Loro sono vostri nemici tanto quanto lo sono per noi”. Il marito aggiunge: “Questa è una guerra politica ed economica, l’Occidente deve smettere di finanziare i paesi che danno le armi all’Isis, come l’Arabia Saudita”. Davanti all’imponente basilica di San Pietro ci sono anche tanti italiani che scattano foto e ammirano il cupolone. “Ho pregato per padre Jacques – dice Franco, che vive tra l’Italia e la Germania – lui è morto da vero martire facendo quello che metà dei preti non fanno”. Alla fine l’unica strada percorribile per uomini di fede, come Audrius Micka, cappellano di St. Moritz, è la “misericordia, perché bisogna avere gli occhi aperti per cogliere la sofferenza del mondo”.
I cattolici praticanti di Milano rispondono alla milanese alla domanda se i fatti di Rouen li facciano sentire in pericolo o meno. Nessuno tende a sbilanciarsi, ma non uno dice di sentirsi pienamente al sicuro neppure sui banchi che frequenta di solito.
Santa Maria delle Grazie, in pieno centro, è il complesso religioso famoso per il Cencolo di Leonardo ma anche una chiesa molto frequentata. È naturalmente meta delle sciure della città bene, ma pure di giovani imprenditori, di professionisti, e in genere di signori di mezza età. “Certo che i fatti successi in Francia mi hanno sconvolto” dice una signora anziana che si affretta ad entrare, preoccupata forse di essere in ritardo. “Se ho paura? E perché dovrei? – aggiunge – Tanto mi può succede qualcosa qua quanto mi può capitare in piazza o in metropolitana”. “Quelli che agiscono sono ‘lupi solitari… Gente imprevedibile”, gli fa eco un’altra donna, che aggiunge: “Perché allora vivere nella paura?”
Se però si domanda ai milanesi di fatti più inerenti la loro città, come di commentare le politiche di accoglienza a maglie larghe del Comune o l’ipotesi di realizzare una nuova grande moschea per il variegatissimo popolo dell’Islam meneghino, i ragionamenti si fanno più articolati e le facce si tirano. Una signora prima di entrare in chiesa per i vespri, commenta: “Bisogna essere inclusivi, certo, ma bisogna guidarli alla nostra civiltà e non a quello che hanno lasciato indietro”. “Io spero – aggiunge un’altra ragazza – che lascino a noi libertà di professare la nostra di religione, perché credo sia questa la cosa più difficile”. “È vero, la libertà di culto è inviolabile” dice un ragazzo col casco in mano, forse uscito dall’ufficio appena in tempo per la messa delle 18 e 30, che precisa: “Ma la moschea non può essere realizzata con soldi in arrivo dal Medio oriente e con chissà quale gruppo alle spalle. Questo no – termina – in un momento in cui l’Isis non si sa bene da chi sia finanziato”.