I Panama papers colpiscono l’Eni. L’Espresso in edicola oggi pubblica i documenti che arricchiscono il quadro accusatorio già delineato dal pm Fabio De Pasquale nei confronti dell’Eni e dei politici algerini accusati di corruzione internazionale. Negli archivi dell’ormai celeberrimo studio legale esperto in strutture societarie, Mossack Fonseca, L’Espresso ha trovato gli atti di 12 società offshore utilizzate dal presunto cassiere occulto dell’ex ministro algerino dell’energia Chakib Khelil. Il finanziere imputato a Milano si chiama Farid Bedjaoui e secondo l’accusa avrebbe creato le sue società off-shore per riciclare le presunte tangenti algerine per centinaia di milioni di dollari. Finora la Procura nella sua caccia era arrivata fino ai fiduciari svizzeri ma non aveva fatto l’ultimo passo fino alle società caraibiche.
L’Espresso però svela anche un’altra società che non ha niente a che vedere con queste storie di mazzette e che non ha alcun legame con i vari soggetti finiti sotto la lente della magistratura. Si chiama Elengui Limited ed è interessante per il nome della sua direttrice e socia unica: Marie Madeleine Ingoba, detta Madò, moglie congolese di Claudio Descalzi, l’amministratore delegato dell’Eni.
La signora compare nel libro soci e ha firmato le carte personalmente. La società è stata cancellata – per una coincidenza di date – nei giorni in cui Renzi nomina Descalzi al posto di Paolo Scaroni nel 2014. Perché la moglie dell’allora numero due dell’Eni crea questa off-shore il 7 dicembre del 2012? Marie Madeleine Ingoba ha dato una versione simile a quella di Barbara D’Urso (“volevo comprare una villa all’estero e poi non l’ho fatto”). La moglie di Descalzi ha sostenuto che “la società era stata costituita al solo scopo di essere utilizzata per sviluppare un progetto immobiliare a Brazzaville, la ristrutturazione e ammodernamento di un hotel nella capitale congolese, che però non si è mai materializzato”. La scelta di crearla alle British Virgin Islands? Suggerita dal suo consulente. “La signora precisa – prosegue L’Espresso – che nel 2012 era entrata in contatto con potenziali investitori che stavano arrivando in Congo, per cui diventava urgente aprire una società: la registrazione alle British Virgin lslands le è stata proposta come la soluzione più rapida e meno costosa. La società – sempre a detta di madame Ingoba – non ha mai avuto alcun rapporto con l’Eni, anzi non è mai stata utilizzata, non ha mai ricevuto fondi, non ha fatto alcuna transazione finanziaria. Attualmente è inattiva e verrà messa in liquidazione”.
Ci sono una serie di particolarità in questa storia. Descalzi ha sostenuto di essere venuto a conoscenza della società grazie ai giornalisti e non grazie alla moglie che lo avrebbe tenuto all’oscuro della creazione di una società alle Virgin Island. La moglie dell’amministratore di Eni ha sostenuto che non ricordava dell’esistenza della società e ha dovuto chiedere al suo commercialista in Congo. Strana anche la costituzione: la società alle British Virgin Islands è stata aperta tramite una società di consulenza di Hong Kong, la Orion House services Limited, di cui Marie Madeleine Descalzi è cliente. Meno intrigante ma rilevante dal punto di vista penale potrebbe essere invece la documentazione relativa all’affaire algerino.
Il gup di Milano, Manuela Scudieri, due giorni fa ha rinviato a giudizio anche l’ex amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, con Farid Bedjaoui e gli altri algerini e gli italiani che già erano a giudizio. Per il pm Fabio De Pasquale Saipem, per assicurarsi appalti per 8 miliardi in Algeria, con l’autorizzazione degli ex vertici Eni, avrebbe versato 192 milioni di mazzette. Il processo inizierà il 5 dicembre prossimo. Ora L’Espresso è riuscito a trovare i documenti che dimostrano l’ultimo anello della catena. Nelle carte svelate dal consorzio giornalistico Icij, scrive il settimanale, ci sono gli atti di tre società panamensi che, attraverso Bedjaoui, hanno ricevuto decine di milioni da Saipem.
Pochi dubbi sulla titolarità: la Collingdale Consultant Inc., registrata a Panama il 10 luglio 2007, ha come unico azionista il figlio del ministro, Khaldoun Khelil, anche rappresentante della società. Altre due offshore hanno azioni al portatore, ma nel 2005 è stato registrato un mandato a rappresentare la prima (Carnelian Group Inc.), a nome di Najat Arafat, moglie dell’ex ministro algerino Khelil, indagato nel suo paese. Nelle carte panamensi ci sono anche nomi italiani. Per esempio quello di Regina Picano, moglie di Pietro Varone che il 10 luglio del 2007 in una carta appare come legale rappresentante proprio della Collingdale.