Lo confesso, non avevo capito niente e leggendo ogni giorno il Corriere della Sera, la Repubblica e l’unanime coro di (quasi) tutta la stampa italiana cominciavo davvero a pensare (e a temere) che i rifiuti per le strade di Roma li avesse portati l’assessore Cinquestelle all’Ambiente Paola Muraro. Che gli autobus di Roma fossero improvvisamente scomparsi per un maleficio dell’assessore Cinquestelle ai Trasporti, Linda Meleo. E che perfino la voragine del Tiburtino che l’altro giorno ha inghiottito una sfortunata signora fosse la conseguenza tragica dell’hybris pentastellato, della cieca tracotanza, della inettitudine, della stoltezza che impregna le mura del Campidoglio da quando il populusque romano (meglio dire la Suburra i cui cattivi umori finirono per travolgere anche i Parioli, ultima cittadella della ragione Pd) in preda a irrefrenabile ubriacatura demagogica vi collocò la madre, la sorella, la figlia, la moglie, la fidanzata di tutte catastrofi urbane: il sindaco Cinquestelle Virginia Raggi.
Lo ammetto, nella mia ottusa viltà mi ero aggregato alla vulgata dominante sui ridenti lidi maremmani e convenni che era bastato un mese o poco più di sindacatura M5s per capire come la poverina fosse del tutto inadatta al compito, mai pervenuta, catapultata su una poltrona troppo più grande di lei. E poi, diciamolo, una figurina così scialba, antipaticuccia, noiosetta, signorina sotuttoio, senza contare quella foto palloccolosa (Giuliano Ferrara: “Aridatece Petrucci!”) sul balconcino di casa e quel pigiamino da saldi Upim, che un filo di trucco appena svegli se lo danno tutti o no?
Vero è che quelle sentenze definitive suscitavano in qualche anfratto della mia memoria fastidiose domande. Per esempio: a quella monnezza, tripudio di uccellacci e pantegane non avevamo fatto l’occhio e l’olfatto già molte estati or sono, sindaci regnanti forse Alemanno, certamente Marino, sicuramente il sobrio super prefetto Tronca (quello che, leggemmo, pasteggiava con un’oliva ascolana e di cui fu scritto senza vergogna che amava i problemi per poi meglio risolverli)?
Fui turbato soprattutto dalla istantanea stampata sulle più diffuse cronache romane: un gruppo di persone, dieci o dodici, in attesa di un bus nella centralissima via del Corso. Titolo di Repubblica: “L’altra emergenza: la Caporetto dell’Atac”. Ma quella scena davvero impressionante dove l’avevo già vista? Senza farmi sentire mi risposi: a Roma. Sempre e da sempre. Anzi, di fronte alle banchine della metro prese d’assalto l’’state scorsa e ai conducenti malmenati, una dozzina di cittadini in paziente attesa della linea 25 o del 54 barrato rappresentano una positiva evoluzione del sistema autoferrotranviario capitolino.
Basta. L’ho fatta troppo lunga. Annaspavo nella confusione, mi dibattevo nell’incertezza, insomma i conti non mi tornavano finché un luce ebbe a squarciarmi la mente ottenebrata dal disordine grillino. Fu ieri su Repubblica (ça va sans dire) che Francesco Merlo al culmine di un travolgente sermone dal titolo: “Dai bus rotti alla spazzatura il tunnel senza fine della decadenza capitale” mi (ci) indicò la retta via. Con queste precise parole: “Ecco perché l’Olimpiade del 2024 può diventare l’ultima partita a dadi: l’Olimpiade per non morire, non affari per i soliti costruttori-corruttori, per la canea avida degli speculatori e palazzinari romani che si leccano i baffi di cemento, ma per una scossa tellurica per risalire e ricominciare, per guardarsi allo specchio, per uscire dal torpore piranesiano che ci ha preso e che ci fa complici della più grande rovina abitata del mondo, per farsi il check up e progettare un futuro, per restituire alla decadenza eterna di Roma, il bel tramonto che le spetta”. Amen.
Ora, sindaco Virginia Raggi, onestamente non sente in queste terzine il ritmo incalzante del gospel, dello spiritual che conduce dalla palude capitale ai verdi pascoli del cielo? Provi a cantare con l’assessore Muraro: una scossa tellurica per salire e ricominciare, oh yes! Non affari per i soliti costruttori, oh no! Dia retta, sia gentile, accetti l’invito a cena del presidente Malagò, si faccia venire a prendere da una limousine, dica finalmente sì alle Olimpiadi e ogni problema sparirà.
Vedrà, come per incanto quegli stessi giornali scriveranno che la spazzatura profuma di gelsomino e che attendere il bus che non arriva aiuta a socializzare. Canti con Merlo: viva i Giochi usciamo dal torpore piranesiano. E non sarà più palloccolosa.