Solo i giornali italiani imbeccati da Palazzo Chigi potevano credere che ieri, a Ventotene, dovesse nascere la nuova Europa. “Molti hanno pensato, dopo la Brexit, che l’Ue fosse finita. Non è così: abbiamo voglia di scrivere il futuro”, ha esordito ieri il presidente del Consiglio Matteo Renzi sulla portaerei Garibaldi, nelle acque pontine. Ammesso che l’Unione europea abbia un futuro, a Ventotene è stato scritto al massimo qualche puntino di sospensione, non certo un nuovo capitolo. Anche perché i tre leader sono arrivati con obiettivi molto diversi a un vertice che non aveva poteri decisionali.
Matteo Renzi, come ha raccontato domenica a Eugenio Scalfari su Repubblica, sembra convinto che uno degli argomenti più forti per votare “Sì” al referendum di ottobre sulla riforma costituzionale non sia la qualità delle modifiche, ma il fatto che la vittoria del “No” potrebbe destabilizzare un governo vitale per l’Europa. E quindi cerca di presentarsi come il perno su cui si regge l’Ue post-Brexit. Per questo ci ha tenuto tanto a presentare il vertice di ieri come qualcosa di unico, dimostrazione costosa e vistosa di un nuovo ruolo dell’Italia.
Come ha ricordato ieri l’ex premier Mario Monti in una lettera al Sole 24 Ore, però, il coinvolgimento dell’Italia in qualche “direttorio” europeo non è nuovo: già nel 2012, al tempo dei tecnici, ci furono vari incontri con Merkel e Hollande, uno anche a Roma, a villa Madama. E anche la riscoperta di Altiero Spinelli e del suo progetto federalista è un déjà vu: a gennaio Renzi era andato in pellegrinaggio sull’isola per dare il messaggio che, anche se contestava i limiti di bilancio imposti dalla Commissione europea, era un sincero europeista. Unica novità di ieri: l’annuncio che il carcere di Ventotene diventerà una specie di università europea, con 99 celle trasformate in classi.
Qualche accenno a “misure forti per la crescita e investimenti di qualità” è servito a evocare, a beneficio dei media italiani, l’ennesima svolta rispetto all’austerità europea sui bilanci. Ma guai a leggerci qualcosa di concreto, il negoziato tecnico sulla legge di Stabilità sarà con la Commissione e deve ancora partire.
Angela Merkel, dopo i saluti di rito, ha fatto di tutto per ridimensionare il peso del vertice a Ventotene: è soltanto “uno dei tanti incontri prima del summit di Bratislava”, dove il 16 settembre i capi di governo dei 27 Paesi si riuniranno informalmente senza gli inglesi (devono vedersi lontano da Bruxelles, perché ai Consigli europei ci deve essere pure il premier Theresa May). La Merkel sarà in Italia di nuovo il 31 agosto, a Maranello, per dare un altro sostegno pre-referendum a Renzi e discutere qualche dossier economico. Quindi, aggirata con eleganza la domanda sulla maggiore flessibilità in Italia, si è messa a parlare subito al pubblico tedesco: ci sono le elezioni nel 2017, ma prima ancora quelle di settembre nel Land di Meclemburgo-Pomerania, dove ha il collegio elettorale da deputata, e a Berlino.
La Cancelliera parla dell’Europa che serve a lei: il problema dell’immigrazione, quello che deciderà le elezioni, si risolve con le cooperazioni con i Paesi d’origine dei migranti o con quelli di transito. Merkel rivendica quindi gli accordi europei con Mali e Niger e, soprattutto, quello più contestato, con la Turchia autoritaria di Recep Tayyp Erdogan che ha arrestato il flusso di siriani verso la Germania.
Celebra anche la Guardia costiera e Frontex, l’agenzia europea che vigila sulle frontiere anche in mare. Come dire: cari tedeschi, siete sicuri. Proprio mentre parla The Intercept, la rivista di Glenn Gleenwald (quello del caso Snowden) pubblica una lunga inchiesta sui report alterati dell’agenzia europea per mascherare il fatto che intorno alla Grecia, a Chios, gli uomini di Frontex hanno sparato sulle barche cariche di migranti.
Anche Hollande non si presta più di quanto richieda la cortesia a collaborare all’operazione di immagine organizzata da Renzi. Il presidente francese ha la testa a Parigi: il suo predecessore Nicolas Sarkozy ha annunciato proprio ieri la sua ricandidatura all’Eliseo nel 2017, un pensiero in più oltre a quello dell’antieuropeista Marine Le Pen.
In conferenza stampa Hollande segue l’agenda della politica interna che ha come priorità la reazione agli attacchi terroristici: “Dobbiamo proteggere meglio le frontiere europee e condividere di più le informazioni di intelligence. Vogliamo anche maggior coordinamento, più mezzi e più risorse nel settore della difesa”, dice.
Principi su cui è difficile trovare qualcuno in disaccordo, ma che poi faticano a diventare misure concrete nel rimpallo tra Bruxelles e le capitali nazionali. Non manca un accenno all’importanza di essere “più presenti in Africa con l’Ue”. la stessa logica del migration compact italiano. Un altro vertice è andato, chiuso da una cena a base di pesce. Quello di Ventotene sarà ricordato per la scenografia, non certo per i contenuti.