L’intervista

Virginia Raffaele: “In scena non sono sola. Con me c’è Maria Elena”

Virginia Raffaele - L’attrice porta il suo spettacolo “Performance” alla Festa del Fatto alla Versiliana: “I miei personaggi finiscono con l’imitare loro stessi”

24 Agosto 2016

Virginia Raffaele e il perché o si è attori o non lo si è: “Per strada è passata una signora con dei sandali anni 80 e mi sono distratta. Ai piedi aveva le Madigan, le stesse infradito che portava mia mamma quando ero piccola. Erano di gomma e di spugna, con i colori dell’arcobaleno e in un attimo ho rivisto i piedi di mia madre e mi sono ritrovata sul balcone di casa d’estate. Lei innaffiava le piante e io le ballavo intorno con l’hula hoop cercando di bagnarmi perché faceva caldo”.

Interpretando tante età, vite e caratteri, nella proiezione continua di storie, personaggi e fantasie, Virginia è rimasta in un circo chiudendo molti cerchi. C’è geometria e sorpresa anche in Performance, quasi due ore di spettacolo: “Nate dall’incontro con il regista, Giampiero Solari” che Raffaele presenterà alla Versiliana venerdì 2 settembre alle 21, alla festa del Fatto Quotidiano. In un filo che lega universi e personaggi lontani tra loro, Virginia indossa molte maschere: “Solari le chiama installazioni umane e infatti a presentarle in apertura di scena è Marina Abramovic. ‘Virginia non è Virginia, Raffaele non è Raffaele, Performance è performance’”.

E Performance che cos’è?
Uno strano viaggio in un gioco di specchi e moltiplicazione delle immagini. I personaggi si susseguono l’uno dopo l’altro con un respiro teatrale.

È diverso dal respiro televisivo?
Quello che in televisione deve durare tre minuti prima che si vada a nero, in teatro può dilatarsi, allungarsi, espandersi o restringersi a seconda dell’ispirazione e del grado di improvvisazione. Sono due mondi diversi.

I suoi personaggi sembrerebbero maschere deformate e al tempo stesso somigliano agli originali più degli originali stessi.
Provo a dare una coerenza ai personaggi che racconto e che non ho mai visto. Provo a immaginare quello che plausibilmente potrebbero dire, ma sicuramente non hanno mai detto. Ornella Vanoni non ha mai pronunciato la frase: “Ma abbiamo fatto l’amore io e lei?”, però pensarla mentre lo dice è verosimile.

Che tipo di lavoro è il suo?
È un’interpretazione delle anime altrui. Le prendo in prestito. È come se provassi a entrare nei personaggi che metto in scena e i personaggi stessi mi respingessero perché sul palco regnano loro. Io insisto, ci metto quello che ho dentro e viene fuori un respiro vero e verosimile. Li faccio parlare per dire cosa rappresentano per me. Vengono fuori il superfluo, le contraddizioni, la malinconia, la doppiezza. Si ride, ma non solo.

Lei è apprezzata da tutti. Non ha paura dell’unanimità della critica?
Non c’è problema, perché tanto non riesco a godermi nulla. Sono insicura e mi metto continuamente in discussione. Mi dicono: “Stai calma, stai tranquilla”, ma io tranquilla non riesco a stare. Prima o poi cadrò anch’io e farò qualcosa che non piacerà. È matematico. È fisiologico. Non miro alla perfezione, ma cerco di fare le cose bene. Studio i dettagli perché per me i dettagli sono fondamentali. Anche nella vita. Vale molto di più un certo sguardo che un regalo meraviglioso. Sa cosa mi preoccupa invece a volte?

Che cosa?
Quello strano corto circuito per cui quando imiti un personaggio poi ti accorgi che l’imitato ti rifà il verso. Quando l’imitato inizia a imitare l’imitatore che lo ha imitato devi preoccuparti.

Cosa ha imparato sul palco in questi anni?
Che bisogna lottare tutti i giorni per non ripetersi. Sa cosa mi diceva il mio insegnante di recitazione? “Devi incuriosire e stupire il pubblico, altro non esiste”. Io sono d’accordo e non scelgo mai la strada più facile.

A Sanremo portò Versace e Fracci, personaggi mai fatti prima.
Non so se si tratti di una sfida con me stessa o se corro il rischio per tenermi più viva e attiva, ma a non rinnovarmi non riesco. Per il comico deviare dal percorso conosciuto è una scommessa altissima. Per fare affezionare il pubblico serve tempo.

In Performance è sola sul palco. Si trova bene?
Con gli spettacoli corali sono nata e cresciuta, stare da sola sul palco è un’evoluzione. Forse è strano, però sola non mi sento mai. È come se in scena fossimo io e Maria Elena Boschi, io e Ornella Vanoni. Non è un monologo alla Bennett, che pure mi piacerebbe fare e che sarebbe più difficile, ma una commedia.

All’inizio, la prima volta che si è trovata da sola sul palco, ha avuto paura?
Credevo di mori’. Poi quando prendi il via diventi dipendente. Non ne puoi più fare a meno.

Mai dimenticata la parte?
Mai. E lo dico facendo un gesto scaramantico. I miei tecnici mi prendono in giro. Pensavano che essendo sola non mi accorgessi dell’errato posizionamento di una luce e invece, a fine spettacolo, mi accorgo di essermi resa conto di ogni cosa. A memoria: “Ma Virginia – dicono – ma non ti deconcentri così? Perché non ti lasci andare?”.

E lei?
‘Lasciarmi anda’ de che?’, rispondo. Devo avere tutto sotto controllo, una maniacalità che del teatro – chi fa teatro lo sa – fa parte in pieno.

Presto la vedremo con un suo programma su Rai3.
Le idee sono ancora vaghissime e devo ancora iniziare le riunioni con gli autori. Per ora mi sto appuntando le cose che mi vengono in mente. Una canzone, uno spunto, un’idea. Cercherò di curarla il più possibile come tutte le cose che faccio dalla minuscola alla più grande. Questa sarà una piccola cosa in seconda serata, ma sento una grande responsabilità.

Ed è preoccupata?
Vuole sape’ la verità? Quasi non ci dormo fin da adesso. Tranquilla, tranquilla non riesco a stare mai.

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