La verità è che il web, forse, non ce lo possiamo permettere. I social network sono sempre più invasi da coloro che Enrico Mentana ha definito “webeti”. C’erano anche ieri, solo che sproloquiavano al bar o scrivevano perle di vita vissuta sui muri dei cessi: evitarli era facile. Oggi, purtroppo, tocca leggerli. Anche e soprattutto se non vuoi. Già notati da Michele Serra e Umberto Eco, i social dement hanno portato il Time a sparare in copertina: “I troll hanno trasformato il web in una fogna di ostilità e violenza”. E così la Rete, che continua a essere popolata da persone meravigliose che senza il web non avresti mai conosciuto e ad avere pregi enormi, è appesantita da “avvelenatori di pozzi” di professione. Qualcuno fa tenerezza, qualcuno fa pena. Qualcun altro fa solo schifo. Fenomenologia breve del webete.
Talebano. È sempre convinto che la verità stia solo da una parte e coincida con Renzi, Grillo o Salvini. Se gli dai ragione sei un eroe, se osi fare distinguo sei una merda. Il dubbio non li ha mai intaccati.
Piove governo ladro. Qualsiasi cosa capiti, dirottano sempre l’argomento su Renzi o Grillo. C’è il terremoto? “È colpa di Renzi”. La Roma va fuori dalla Champions? “È colpa della Raggi”.
Pretoriani. Passano la vita a insultare chi non la pensa come loro, creando profili fake a profusione per aumentare il loro fuoco (fatuo) di fila. Hanno fatto sesso l’ultima volta nel ’77 e si masturbano se un loro hashtag finisce nei Trending Topics. Poveracci.
Haters. Webeti anonimi che ti attaccano anche se dici cose ovvie, tipo “Rondolino è brutto come un singolo di Antonacci”. Se ti incontrano per strada, ti chiedono l’autografo: non perché in realtà ti stimino, ma perché del tutto sprovvisti di zebedei. Se la fanno sotto di default.
Indignati. Non gli va mai bene niente. Se Bonolis viaggia con l’aereo privato, lo insultano per ostentazione di ricchezza. Se Cannavacciuolo viaggia con RyanAir, lo insultano perché è un poveraccio. Una manciata di cazzi propri, no? No.
Esperti. Si adattano all’argomento del momento e danno consigli su tutto. Sul terremoto, sulla ripopolazione del panda rosso o sulla Pellegrini che “non sa nuotare”. Loro, invece, quando fanno il bagno nella vasca riescono a essere così agili da staccare perfino la paperella gialla. L’unica, peraltro, a fargli misericordiosamente compagnia.
Battutisti. Proliferano soprattutto su Twitter, convinti che bastino 140 caratteri ad minchiam per essere pubblicati su Spinoza. Fanno “battute” soprattutto quando muore qualcuno famoso. Una prece: al morto, ma più che altro a loro.
Precisini. Ne sanno sempre più di te. Sempre. Tipo: “Non è vero che Jimi Hendrix nel 1968 ha sbadigliato 74 volte. Lo ha fatto 76”. Si divertono così.
Gasparri. Emblema del citrullo mediamente noto che non sa usare la Rete e raccatta continuamente figure da bischero. Senza neanche accorgersene. Vale anche per le Picierno, ma non è il caso di dare ulteriore spazio a tale pulviscolo. Quindi andiamo avanti.
Censori. Vivono con l’unico obiettivo di lamentarsi se li blocchi dopo che ti hanno scritto “Crepa, merda”. A quel punto, eccitati come un eunuco di fronte a Gozi, gridano: “Visto? Vuoi la democrazia, poi però censuri tutti!”. Riassunto per il webete: la Rete non è democratica e una pagina pubblica lo è ancora meno. Se mi sputi sul divano di casa, io ti caccio. Ed essendo casa mia, magari ti caccio anche solo perché hai scritto “qual’è” con l’apostrofo: stacce (cit).
“E le foibe?”. Tribù assai numerosa e particolarmente cagacazzi. Se per esempio piangi per i morti del Bataclan, ti insultano perché non hai versato le stesse lacrime per i morti in Siria. Porca miseria: al giorno d’oggi, non sei neanche più libero di piangere chi ti pare.
Titolisti. Di un articolo leggono solo il titolo. Riuscendo pure a fraintenderlo.
Refusisti. Di un post, magari articolato, notano solo il refuso. Tipo: hai appena raccontato la storia di Muhammad Ali. E loro: “Che schifo, manca una virgola al rigo sette. Vergogna!!!”. È la variante web del pensionato che fracassa la uallera a chi lavora nei cantieri. Però meno simpatica.
“E quindi?”. Commento tipico di chi, dopo aver (non) letto un post, vorrebbe dire la sua. Non avendo però idee sue, non le dice. E quindi?
“Sai solo criticare”/ “Sei solo invidioso”. Reazione pavloviana di chi, trovatosi di fronte a critiche su persone, squadre o partiti a lui cari, non va mai oltre lo stantio “Stai a rosica’, vero?”. Un tale ragionamento, di per sé sommamente idiota, diviene addirittura comico se magari il “rosicare” riguarda Orfini: chi è che potrebbe mai invidiare Orfini? Dai ragazzi, su.
“Vergogna, perché non parli di (x)?”. Altra frase tipica del social dement, che pretende che gli argomenti di un profilo li scelga lui. E non il proprietario del profilo. Genio.
Fanboy. Puoi dirgli che un meteorite sta per abbattersi sulla Terra o che Siani sta per fare un altro film: non tradirà reazioni. Se però gli dici che l’ultimo disco di Mengoni fa abbastanza schifo all’intestino tenue, e pure a quello crasso, ti augurerà la morte. A te e famiglia. Daje.
Complottisti. Aspettano le tragedie per reiterare bufale ciclopiche con l’aria di chi – a dispetto dell’informazione canonica – ha il coraggio di dare notizie scomode. L’esempio della magnitudo “falsata” dal governo per non risarcire i terremotati è solo una delle tante. Poveri noi.
“Non hai niente di meglio da fare?”. Frase assai cara al webete. Lui, invece, che ha visto l’ultima donna seminuda nel Postalmarket e se ne sta lì a leggerti tutto il giorno anche se gli stai parecchio sulle palle, di cose migliori da fare ne ha tantissime.
Duri&Puri. Bivaccano sui social per scudisciare chi “tradisce”. Vorrebbero tutti poveri, infelici e possibilmente morti giovani. Ce l’hanno con quello che canta a Sanremo, con quell’altro che va dalla De Filippi e quell’altro che pubblica con Mondadori. Ovviamente, al loro posto, ipotecherebbero la madre per pubblicare con Mondadori. Cantare a Sanremo. E soprattutto andare dalla De Filippi.
Loro non sono mica razzisti. Qualsiasi cosa accada, è sempre colpa degli immigrati che vivono nei 4 stelle e prendono 35 euro al giorno. È l’unica cosa che (non) sanno e la spendono per ogni dibattito, che si parli di terremoto o ginger ale. Al massimo della loro elaborazione concettuale, possono arrivare a “Zingari di merda” e “Viva il Duce”. Ma solo con uno sforzo cerebrale tale da bruciare tutti i loro neuroni. Cioè uno. E pure irrisolto.
P.s. Ovviamente, dopo aver letto l’articolo, il webete si piccherà assai, mostrerà una coda di paglia lunga come da qui al Bengasi, accuserà l’autore stesso di essere un webete (cosa possibile, benché improbabile, ma che nulla sposta sul piano generale) e finirà con l’insultare ancora di più l’autore. Il quale, come sempre, con quegli insulti ci farà il brodo.