Marco Travaglio

Direttore del
Fatto Quotidiano

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Errani humanum, perseverare diabolicum

31 Agosto 2016

Sdegno, orrore, unanime riprovazione: quelli del Fatto, noti nemici del popolo e complici del terremoto, hanno osato mettere in dubbio il dogma dell’Immacolata Ricostruzione, rompendo il Patto dell’Amatriciana che ci vuole tutti belanti in coro a cantare le lodi della classe politica più onesta e previdente del mondo. Ecco il testo del vile e proditorio attacco sferrato dal sottoscritto (ebbene sì, lo confesso, la frase anonima sopra la testata di lunedì era mia) al neo-Consolatore degli Afflitti: “Vasco Errani commissario alla ricostruzione. È stato assolto, ma è proprio il caso di nominare un ex governatore che finanziò la coop di suo fratello?”. Apriti cielo. “Un vergognoso attacco a Vasco Errani”, titola l’Unità per la penna dell’autorevole Rondolingua. “Il Vasco di Pandora dei giustizialisti”, fa eco l’altro samizdat renziano, Il Foglio, che sempre dalla clandestinità dedica alla vile aggressione addirittura due articoli: uno anonimo, l’altro a firma del prestigioso Massimo Bordin. Tre pezzi che ripetono la stessa solfa: ma come, Errani dopo la condanna si dimise da governatore e poi fu assolto, che vuole Travaglio? Ignorare la sentenza e condannare un povero martire innocente alla morte civile?

Con tutto il rispetto (nessuno) che meritano i tre autori, il processo a Errani non c’entra nulla con la nostra perplessità sulla sua nomina. Se infatti i tre autori (chiamarli giornalisti pare eccessivo) si fossero minimamente informati sul processo Errani, saprebbero che l’accusa non riguardava affatto la liceità di quel finanziamento alla coop del fratello da parte della Regione Emilia-Romagna da lui stesso governata (liceità mai indagata da alcun magistrato, essendo molto inopportuna, ma non delittuosa). Riguardava invece le carte false che Errani esibì per difendere la sua condotta, criticata dai soliti gufi. Breve riepilogo per somari e smemorati travestiti da garantisti. Nel 2006 la giunta di Vasco Errani regala 1 milione di euro alla coop rossa Terremerse presieduta da suo fratello Giovanni per un nuovo stabilimento enologico a Imola che risulta già costruito. Un bel conflitto d’interessi, direbbe la combriccola del Vasco se al posto suo ci fosse Berlusconi o qualcuno dei suoi. Invece tutti zitti. Anche quando si scopre che la cantina finanziata dalla Regione non è stata costruita, dunque a quei fondi pubblici non aveva diritto. E anche quando, per soprammercato, viene fuori che non aveva neppure i permessi edilizi. Attaccato dalle opposizioni e da il Giornale, Errani commissiona una relazione in sua difesa.

Ma attenzione. La chiede verbalmente (senza protocollare) a due funzionari della sua Regione, anziché all’assessore all’Agricoltura che ha erogato i fondi. I due eseguono: tutto regolare. Errani gira la relazione alla Procura di Bologna con una nota autografa. Un clamoroso autogol: i pm scoprono che la relazione e la nota sono piene di omissioni per nascondere le irregolarità dell’operazione. Così il governatore finisce a giudizio per falso in atto pubblico coi due funzionari, accusati anche di favoreggiamento. Primo grado, tutti e tre assolti: hanno mentito nella relazione e nella nota, ma non c’è prova del dolo, cioè che l’abbiano fatto apposta. Appello, tutti condannati: il dolo è provato dal fatto che Errani si rivolse ai funzionari anziché all’assessore (che si è “voluto sottrarre al maquillage dei fatti”) perché voleva una relazione favorevole, e non la protocollò per poterla imboscare se non gli fosse piaciuta. Il che non avvenne perché i due soldatini ubbidienti omisero di allegare agli atti la variante che Giovanni Errani aveva chiesto alla Regione quando era indietro coi lavori per modificare il progetto (da 6 a 2,7 milioni), ma non il finanziamento milionario. Errani, in scadenza di mandato e non rieleggibile (è governatore per la terza volta, in barba alle due previste dalla nuova legge), si dimette con pochi mesi d’anticipo. Poi la Cassazione annulla il verdetto, ma non perché lo ritenga innocente, infatti ordina un nuovo appello per precisare meglio la prova del dolo: resta assodato che la relazione dice il falso.

Nel secondo appello, il 21 giugno scorso, tutti assolti perché “il fatto non costituisce reato”: ancora una volta i giudici affermano che la relazione voluta da Errani era farlocca (altrimenti la formula sarebbe “il fatto non sussiste”), ma non è dimostrato il dolo. Un caso di sbadataggine. Fine del processo, applausi. Ma, in un paese normale, se uno racconta frottole a una Procura per difendersi dalle polemiche sul suo macroscopico conflitto d’interessi di finanziatore (con soldi pubblici) di suo fratello, il governo non lo mette a vigilare sulla ricostruzione post-terremoto. Sempreché il governo voglia davvero, come afferma, una ricostruzione limpida e cristallina, senza conflitti d’interessi né favoritismi a parenti e amici degli amici. Se queste sono le intenzioni di Renzi, che si è subito fatto scudo del Cantone Multiuso (lo sventola persino per riverginare l’immonda candidatura di Roma alle Olimpiadi 2024), non gli sarà difficile trovare un commissario super partes, possibilmente non iscritto a partiti e soprattutto non coinvolto in conflitti d’interessi con parenti, meglio ancora se figlio unico e sterile. Se invece l’imbarco di Errani, iscritto al Pci negli anni 70 e poi al Pds-Ds-Pd, consigliere comunale a Ravenna nel 1983, assessore comunale nel ’92, consigliere regionale nel ’95, assessore regionale nel ’97, governatore dal ’99 al 2014, è una mossa per regalare una poltrona a un bersaniano momentaneamente a secco e ammorbidire la sinistra del Pd in vista del referendum, abbiamo capito tutto. Povero garantismo. E poveri terremotati.

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