Quando lavoravo a Il Giornale di Montanelli capitava spesso che mi dessero del fascista. Tra i miei primi servizi vi fu un viaggio in incognito su un autobus di leoncavallini diretto a Montalto di Castro dove si sarebbe dovuta costruire una centrale atomica. Rientrato in redazione scrissi un pezzo di cronaca che nei fatti era per loro lusinghiero: stando a quello che avevo visto, i miei compagni di viaggio erano dei giovani idealisti, molti dei quali minorenni, animati da sentimenti di sincero ambientalismo. Ragazzi che all’insaputa dei genitori (e preoccupati della loro possibile reazione) avevano deciso di tentare il blocco della centrale. La reazione degli autonomi milanesi non fu però tenera: per un paio d’anni il fascista Gomez si beccò insulti, monetine (e persino un ceffone in piena faccia) in occasione di ogni manifestazione della sinistra.
Quando poi Silvio Berlusconi entrò in politica e mi dimisi, con altri colleghi, da Il Giornale, i miei ex lettori cominciarono a darmi del comunista. Non piacevano le inchieste sul leader di Forza Italia, il fatto che ricordassi le sue bugie e che mi appassionasse la storia dei rapporti con Cosa Nostra. Gli articoli sulle tangenti rosse che pure pubblicavo su L’Espresso venivano invece ignorati. Il refrain sul comunista Gomez era un patrimonio comune di molti politici del centrodestra e di centinaia di migliaia di suoi elettori. Arrivavano telefonate e lettere anonime. Durante i comizi dell’ex Cavaliere c’era anche gente che, in favore di telecamere, diceva: “Io a Gomez e Travaglio mangio il cuore”. Una parte della sinistra guardava però l’ormai ex fascista Gomez con simpatia, anche se in virtù della mia passione per la cronaca giudiziaria venivo catalogato come dipietrista.
Poi sono nati i 5Stelle. Molti dei loro militanti si sono formati leggendo le mie inchieste e i libri che scrivevo con Travaglio. Nel centrosinistra scandali e ruberie si susseguivano e io tentavo di raccontare tutto puntualmente, animato dalla convinzione che corruzione e malaffare fossero uno dei nostri problemi principali. Così in molti iniziarono a darmi del pentastellato e pure i 5Stelle mi consideravano dei loro. Prima di definirmi (per qualche settimana) renziano, quando l’attuale premier, durante le primarie prometteva di voler trasformare la Rai nella Bbc o di voler rottamare la vecchia classe dirigente italiana. Bastava riferire con puntualità, sul sito che dirigo, i suoi interventi per ricevere elogi dai fan del giovane Matteo.
Durò poco. Giusto il tempo perché lui si dimostrasse quello che era: il solito politico a caccia di consenso. Far notare le sue bugie e contraddizioni, evitando di attaccare per partito preso il M5S, era la prova che fossi un grillino. Poi è arrivato il caso Virginia Raggi. Una mia considerazione (scontata) ha di nuovo ribaltato la scena: tra i principi fondanti del Movimento c’è la trasparenza. Negare, o giocare sulle parole, per non dire ai cittadini che un assessore è sotto inchiesta significa violare quel principio. Per coerenza chi lo ha fatto o si scusa e ammette l’errore oppure è meglio che se ne vada.
Risultato: sms di lodi dal Pd, un mio pezzo pubblicato su ilfattoquotidiano.it ripreso in prima pagina da Il Tempo (giornale di centrodestra) e molte proteste di militanti M5S (ma solo da una parte di loro). Non me ne lamento: se avessi voluto vivere tra gli applausi avrei fatto un altro mestiere. Ripensando però al mio piccolo caso personale, mi convinco sempre più che la strada italiana verso il cambiamento sia ancora molto lunga da percorrere.