Quel foulard attorno al collo lo ha stretto forte chiunque non abbia fatto nulla per evitare che ciò accadesse: chi ha sottovalutato la vicenda, chi ha parlato di fenomeno lontano come le macchie solari, chi ha detto “così impara”, chi ha lasciato Tiziana nella più affollata solitudine, chi domani se ne sarà dimenticato. La dannata sensazione di impotenza dinanzi alla morte lascia posto all’elementare quesito “ma che fanno gli sbirri” in queste brutte storie? Le indagini negli angoli più malfamati dei suburbi telematici non sono affatto impossibili ma, individuazione dei responsabili a parte, difficilmente riescono ad arginare le devastanti riverberazioni di quella “prima volta” in cui una immagine o un video indesiderati finiscono online.
Denunciare certe cose costa fatica e vergogna, fattori che rallentano e rischiano di recare pregiudizio alle investigazioni che devono scattare immediatamente. La partita è difficile e inciampa nei ritardi fisiologici del recapito in Procura, dell’assegnazione del fascicolo al pm incaricato e della delega alla polizia giudiziaria cui affidare le attività di competenza. Per ottimizzare i tempi, chi riceve la querela può attivarsi avviando ogni iniziativa potenzialmente autonoma. In attesa del “via!” dal pubblico ministero e a prescindere dall’essere soggetto delegato, chi riceve un simile “sos” dal cittadino può (forse, deve) far scattare una ricognizione per individuare e localizzare eventuali “presenze” del medesimo contenuto in altre realtà digitali sfuggite al denunciante ma non all’implacabile dinamica di mirroring che fa rimbalzare il file quasi fosse proiettato in una sterminata galleria di specchi. Il mondo web ha una geografia i cui confini non collimano con i limiti di competenza e giurisdizione della normativa cui facciamo appello: occorre mettere in bilancio che la legge non possa fare il suo corso o venga sgambettata da ostacoli burocratici per il disallineamento legislativo internazionale.
La tempestiva trasmissione della denuncia può essere seguita dall’inoltro di una informativa di reato in cui vengono riportate le evidenze della ricognizione effettuata, utili per fornire un più realistico quadro di situazione e agevolare il magistrato nella scelta e nella adozione dei provvedimenti necessari. La trousse degli strumenti è variamente configurata e può assicurare una impostazione “ortopedicamente” corretta delle indagini: dall’ordine di rimozione dei contenuti alla richiesta dei “log” che hanno registrato utente/data/ora/IP corrispondenti all’upload (o caricamento) del file incriminato, fino ad arrivare al sequestro o oscuramento dei siti ospitanti.
Il nemico è il tempo. Se non ci si sbriga, la contaminazione diventa endemica e irreversibile. Se si corre nella direzione giusta si può sperare di limitare il danno e la rapida cattura/condanna dell’untore può innescare quel processo di deterrenza che può rivelarsi l’unico vero freno. La soluzione omeopatica potrebbe essere uno sforzo educativo e sociale mirato al rispetto degli altri, ma l’educazione civica sembra passata di moda nonostante se ne senta un gran bisogno.