Può sembrare incredibile ma la notizia è che ieri Il Sole 24 Ore non è fallito. La tempestosa riunione del consiglio d’amministrazione della società editoriale quotata in Borsa e controllata dalla Confindustria ha confermato che le notizie circolate da due mesi a questa parte non solo non erano malevole invenzioni – come sostenuto da alcuni degli interessati più in difficoltà – ma erano addirittura errate per difetto.
Nel comunicato emesso ieri sera si legge una frase agghiacciante: “Alla luce dei risultati economici, finanziari e patrimoniali rilevati nel primo semestre 2016, si sono rese necessarie valutazioni da parte degli amministratori in merito alla sussistenza del presupposto di continuità aziendale”. Tradotto in italiano corrente, il consiglio d’amministrazione ha dovuto decidere se, alla luce dei conti presentati dall’amministratore delegato Gabriele Del Torchio, fosse necessario dichiarare fallimento. La discussione non dev’essere stata delle più rilassate, stando all’esito descritto dallo stesso comunicato: “Pur in presenza di significative incertezze, gli amministratori hanno redatto la relazione finanziaria semestrale sulla base del presupposto della continuità aziendale”.
Che cosa ha fatto superare le “significative incertezze”? L’aiuto delle banche, naturalmente: i grandi industriali italiani, alle prese con i buchi di una società quotata gestita come la più inquinata delle municipalizzate, “hanno ottenuto – spiega ancora il comunicato – la disponibilità delle banche finanziatrici a ridefinire la struttura del debito e hanno ottenuto la disponibilità da parte dell’azionista di maggioranza a valutare positivamente un eventuale aumento di capitale”.
Anche qui occorre una traduzione. Del Torchio, arrivato a metà giugno, si è trovato di fronte una situazione disastrosa, ereditata dalla precedente gestione (Donatella Treu amministratore delegato e Benito Benedini presidente). Di fronte alle pressioni confindustriali perché non esagerasse con la pulizia del bilancio ha reagito rilanciando. E ha portato in consiglio il calcolo della perdita dei primi sei mesi a 49,8 milioni.
È vero che Il Sole 24 Ore, quando fu quotato in Borsa il 6 dicembre 2007 perse subito, il primo giorno, il 5 per cento del valore, e poi ha sempre chiuso i bilanci in rosso. È vero che da allora ha perso il 90 per cento del valore di Borsa. È vero anche che l’allora presidente della Confindustria Luca di Montezemolo definì la quotazione in Borsa “un atto di fiducia verso il mercato proprio da parte di chi, come noi, ne parla ogni giorno”, mentre fu il contrario, un atto di fiducia (mal riposta) del mercato verso chi ne parlava a vuoto ogni giorno. Ma una perdita così non si era mai vista. Il patrimonio netto dell’azienda è sceso ieri a 28 milioni. Solo quattro anni fa era a 200 milioni.
Dunque è stato provvidenziale che Del Torchio abbia fermato la calcolatrice a 49,8 milioni: altri 200mila euro di perdita e sarebbero scattati i cosiddetti covenant, cioè le banche creditrici avrebbero potuto chiedere l’immediato rientro dalle esposizioni.
Il presidente della Confindustria Vincenzo Boccia, azionista con il 67,5 per cento, ha cercato ieri di forzare la mano, tentando di azzerare il consiglio e far fuori il suo predecessore e ormai arcinemico Giorgio Squinzi dalla presidenza per sostituirlo con Luigi Abete. L’operazione non è riuscita e resta per ora una tregua armata tra i maggiorenti. Per l’ormai indispensabile aumento di capitale i soldi ce li metterà l’altro gioiello della Confindustria, la Luiss, oggi feudo di Emma Marcegaglia, che ha discusso la questione, e le sue condizioni, con i due litiganti Boccia e Squinzi.
Del Torchio, che ha in mano (segretati) i documenti più scottanti è l’arbitro della situazione. Sarà lui il primo a cui la procura di Milano, con un fascicolo aperto per i reati di falso in bilancio e aggiotaggio, chiederà le notizie. E i nomi.