La dipartita dal M5S di Pizzarotti renderà felici i suoi nemici: coloro che, anche ieri, ha definito “talebani” e “arrivisti ignoranti”. Da anni Grillo (e prima Casaleggio) usano due pesi e due misure con il sindaco di Parma. Probabilmente la rottura è dipesa dalla querelle Inceneritore, che Grillo – non Pizzarotti – promise di bloccare durante la campagna elettorale del 2012, quando bloccarlo era impossibile.
Discutibilmente sospeso prima e ingiustamente non reintegrato dopo, Pizzarotti non poteva non andarsene. Larga parte delle sue critiche sono plausibili, quando non condivisibili. Anche la sua frustrazione è comprensibile: è stato il primo 5Stelle a vincere in una grande città, che sta pure governando benino nonostante il disastro lasciatogli in dote da centrosinistra e centrodestra. Chiedeva appoggio, ma lo hanno trattato come un reietto. Lui stesso, di contro, spesso ci ha messo del suo, alzando il livello dello scontro e facendo il gioco di Renzi. Dargli del “traditore” è da idioti. Avrà senso se diventerà un renzino à la Gambaro, non lo avrà se il suo sarà un futuro alla De Magistris: da battitore libero.
Pizzarotti non convince in alcuni aspetti. Nella ventilata vicinanza con il martire di professione Favia. Negli attacchi “personali” a Di Maio e Di Battista, da cui sembra emergere più un rosicamento che una divergenza strategica. E in alcune parti dell’analisi politica, per esempio nella critica a “un movimento che ora ha un capo” (lo ha sempre avuto) e nella mancanza di streaming (e menomale). Ha però ragione quando sottolinea doppiopesismo, caos generale e rischio di deriva talebana.
Di sicuro il M5S ha perso un politico serio e onesto, che a differenza dei duri&puri Lombardi style ha pure dimostrato di sapere governare: non un grande risultato, per i 5Stelle.