Ieri Matteo Renzi è andato a Genova: “Stasera presentiamo i lavori sul Bisagno (il fiume esondato nel 2014, ndr): la lotta al dissesto non si fa con le parole ma coi cantieri. E sono molto fiero dei passi in avanti giganteschi che sono stati fatti. Ma non basta”. I passi avanti giganteschi sono parte del Grande Piano contro il dissesto idrogeologico 2015-2020 da 9 miliardi: “Una rivoluzione copernicana – la definì il premier l’anno scorso –. Abbiamo già stanziato 1,2 miliardi. Ci rimbocchiamo le maniche e sistemiamo tutto”. Su Italiasicura.it si possono vedere i cantieri in una graziosa mappa multimediale. Poi, però, c’è la realtà. Il Tesoro, com’è obbligato a fare, ha appena pubblicato le Relazioni sulle spese di investimento e relative leggi pluriennali 2016 e lì c’è scritta una cosa un po’ diversa: finora sono stati spesi in tutto 74 milioni, molti dei quali proprio a Genova peraltro, stanziati da Enrico #staisereno Letta. Non solo: le critiche che il governo muove a se stesso in quel report sono pesanti tanto sul dissesto, quanto sulle bonifiche e il sistema idrico. Breve sintesi.
Dissesto idrogeologico – Ecco i 9 miliardi di Renzi nelle parole dei tecnici del ministero dell’Ambiente (Gian Luca Galletti fu uno dei più risoluti aedi del Grande Piano): “A causa dell’esiguità delle risorse disponibili si sta procedendo attraverso la realizzazione di Piani Stralcio”. Insomma, il Grande Piano nel settembre 2015 è diventato – in silenzio, con un decretino – “interventi di mitigazione del rischio alluvionale nelle aree metropolitane” (tutte nel Centro-Nord). Finanziamento teorico: 1,3 miliardi dal Fondo di sviluppo e coesione e dal ministero dell’Ambiente. Quei soldi, però, non esistono: “A causa dell’esiguità delle risorse disponibili si è deciso di finanziare 33 interventi per un importo di 654 milioni di risorse statali che hanno così costituito la sezione attuativa, rimandando la sezione programmatica” a quando avremo i soldi.
Anche i 654 milioni, però, sono virtuali: a oggi infatti, ci dice il Tesoro, sono stati spesi 74,1 milioni. Poi ci sono altri 63 milioni da destinare “al piano di gestione del rischio alluvioni da completare entro l’anno”. Quindi non spesi. Da qui al 2018 ci sono sulla carta 350 milioni in tutto, tutti stanziati da Letta nel 2013: 150 milioni quest’anno, 50 nel 2017 e 150 nel 2018. Il governo Renzi non ha messo un euro in più: “La scarsità delle risorse disponibili per il triennio 2016-18 non ha consentito a questa amministrazione di effettuare una programmazione strutturata per la mitigazione del dissesto idrogeologico”. In sostanza, il ministero dell’Ambiente chiede più soldi e li vorrebbe dal Fondo di sviluppo e coesione. Problema: quei soldi sono vincolati per l’80% a investimenti al Sud “con pregiudizio della grave situazione di dissesto nel Centro-Nord”. Dulcis in fundo: il decreto Sblocca Italia del 2015 ha stanziato 45 milioni per i programmi anti-dissesto “dei provveditorati regionali”: finora sono stati assegnati solo i 2 milioni del 2015.
Le fogne – Qui il ritardo è enorme. Da oltre 10 anni, una direttiva Ue impone a Roma la messa a norma dei sistemi fognari e depurativi: le acque reflue degli agglomerati urbani “devono essere sottoposte a trattamento adeguato”. Tradotto: vanno depurate. Per il 2016 sono stati stanziati 20 milioni. Cioè il 2% di quanto servirebbe. Recita infatti il documento del Tesoro: “La ricognizione effettuata ha evidenziato un fabbisogno finanziario di oltre 1 miliardo di euro per la realizzazione di interventi in 817 agglomerati oggetto di contenzioso comunitario”. A dicembre 2015, Bruxelles ha infatti annunciato che metterà in mora l’Italia alla Corte di Giustizia europea. Lì quantificherà la multa: rischiamo di dover pagare mezzo miliardo l’anno. Per mettere tutto a posto, invece di un miliardo, ci sono 20 milioni nel 2016, 14 nel 2017 e 7 nel 2018 in base a leggi di 10 anni fa.
Siti inquinati – Ce ne sono di vario genere, ma lo stato degli investimenti pubblici è terribile in ogni caso. Per l’amianto, ad esempio, Renzi ha promesso 45 milioni l’anno tra il 2015 e il 2017 per fare le bonifiche nei “sette Siti di interesse nazionale contaminati da amianto”. In teoria. Nella pratica dei 45 milioni del 2015 ne sono arrivati solo 25, cifra che scende a 19,7 milioni nel 2016. Ammette il governo nel suo report: “Si prevede che sarà erogata una percentuale di risorse superiore al 65% entro la fine del triennio”. Tradotto: 46 milioni sono già persi.
Poi c’è il piano straordinario di bonifica delle discariche abusive. Letta aveva stanziato 30 milioni per il 2016-2018: i soldi non sono mai arrivati perché – dicono i tecnici – “i soggetti attuatori non hanno mai consegnato i piani”. Le risorse, comunque, non bastano: mancano 66 milioni. Infine ci sono le bonifiche degli altri Sin: i siti di interesse nazionale – cioè posti super-inquinati tipo Taranto, Brindisi, i laghi di Mantova o il petrolchimico a Marghera – sono 40, istituiti per legge nel 1998 per procedere finalmente alle bonifiche. Come non si era fatto niente prima, così quasi niente dopo. Ora all’uopo sono destinati 75 milioni fino al 2018. Problema: solo i Piani di Stralcio per gli interventi “strategici e prioritari” – quelli, cioè, per evitare emergenze sanitarie – valgono 600 milioni e non ci sono. Se questo è l’andazzo, il piano “Casa Italia” lanciato dopo il terremoto andrà monitorato con attenzione.