Eugenio Scalfari, nel suo editoriale su la Repubblica di domenica scorsa dal titolo Zagrebelsky è un amico ma il match con Renzi l’ha perduto, sostiene due tesi: la prima è che il dibattito su La7 tra Renzi e Zagrebelsky sulla riforma costituzionale si è concluso con un 2-0 per di Renzi; la seconda è che Zagrebelsky ritiene erroneamente che la “politica renziana tende all’oligarchia” e che l’errore è dovuto al fatto che il costituzionalista “forse non sa bene che cosa significhi oligarchia”.
Entrambe le tesi sono profondamente errate.
Quanto alla prima, è vero esattamente il contrario: alla competenza con cui il Presidente emerito della Consulta ha spiegato e dimostrato, con tono pacato e dialogante e con ineccepibili argomentazioni, i gravi errori della legge di riforma e i pericoli che corre la democrazia parlamentare ove la legge venisse approvata con il referendum, si è contrapposta la “spocchia”, l’arroganza e l’improvvisazione dell’istrione Renzi che ha eluso le domande, ha fatto la solita demagogia sui costi della politica, ha cercato – (egli che è il campione del trasformismo) – di trovare inesistenti contraddizioni nei ragionamenti lineari e coerenti dell’altro, lo ha irriso ripetendo beffardamente “io ho studiato sui suoi libri”, sicché quanto mai appropriato è l’invito a lui rivolto su questo giornale da Antonio Padellaro nell’articolo di domenica scorsa La ‘coglionella’ del mellifluo rottamatore costituzionale: “Se davvero qualcosa ha letto (e imparato) da Zagrebelsky cominci a esibire il suo libretto universitario e ci dia la possibilità di consultare la sua tesi di laurea. Con rispetto parlando”.
Quanto alla seconda tesi, Scalfari ci ha impartito una lezione su “che cosa significhi oligarchia”. È partito da Platone per passare a Pericle, alle Repubbliche Marinare e ai Comuni per arrivare nel “passato prossimo” alla Dc e al Pci fino a concludere che “oligarchia e democrazia sono la stessa cosa” e che “Renzi non è oligarchico, magari lo fosse ma ancora non lo è. Sta ancora nel cerchio magico dei suoi più stretti collaboratori. Credo e spero che alla fine senta la necessità di avere intorno a sé una classe dirigente che discute e a volte contrasti le sue decisioni e poi cercare la necessaria unità d’azione. Ci vuole appunto una oligarchia”.
Per anni è stato insegnato che l’oligarchia – e, cioè, “il comando di pochi” (olìgoi e arché), quel tipo di governo i cui poteri sono accentrati nelle mani di pochi – è qualcosa di molto diverso dalla democrazia, il “governo del popolo” (dèmos e Kràtos) che si esercita, negli Stati moderni, attraverso la rappresentanza parlamentare. Dall’Antichità al Medioevo, l’oligarchia è stata considerata dal pensiero politico (in primis Aristotele) una forma di governo “cattiva”. Parimenti, nell’età moderna e contemporanea si è rafforzata la tesi che un governo di pochi è un “cattivo” governo. Il sistema oligarchico è in antitesi a quello democratico.
Orbene, non vi è dubbio che nel nostro Paese il Parlamento sia stato, di fatto, esautorato dall’esecutivo che – legato a ben individuati “poteri forti” che hanno chiesto e ottenuto norme riduttive dei diritti dei lavoratori – ha esteso sempre più la sua sfera di influenza sulla informazione, sui vertici della Pa, delle forze di sicurezza, e delle aziende pubbliche e pone sistematicamente in atto una campagna, da un lato, di disinformazione e, dall’altro, di propaganda ingannevole.
Il Fatto Quotidiano, nel febbraio di quest’anno (Le Ragioni del no, 9/2), denunciò che la riforma costituzionale e la nuova legge elettorale – le quali, nel loro perverso, inestricabile intreccio, riducono il ruolo dei contrappesi, azzerano la rappresentatività del Senato, sottraggono poteri alle Regioni, consentono ad una minoranza di elettori di conquistare la maggioranza della Camera, unica rilevante (anche per la fiducia al Governo) di fronte ad un Senato delegittimato e composto della peggiore classe politica oggi esistente – avrebbero contribuito a portare a compimento un disegno autoritario diretto a concentrare tutto il potere nelle mani dell’esecutivo e, segnatamente, nel capo del Governo, (che da tempo è anche segretario del partito di maggioranza, e la doppia carica preoccupa), e di un gruppo di oligarchi da lui designati. Basti pensare a quei personaggi, ben noti, che lo stesso Scalfari inserisce nel c.d. “cerchio magico” di Renzi e che però, definisce, eufemisticamente, “i suoi più stretti collaboratori”.
Questo spiega la impropria discesa in campo degli oligarchi e del loro capo – (che si sarebbero dovuti astenere dal partecipare alla campagna referendaria) – ed il loro attivismo, (anche all’estero), ogni giorno sempre più frenetico, ossessivo, invasivo con la promessa – da veri imbonitori – di stabilità e benessere se vincerà il SÌ e con il prospettare catastrofi e caos nel caso opposto.
Solo votando NO sarà possibile evitare la deriva autoritaria.