Da Civitavecchia a Rosignano, l’Aurelia per anni è stata maltrattata. Tenuta male per scelta deliberata, senza darsi pena per le conseguenze, i disagi per gli automobilisti, i pericoli per la circolazione, le code, le ripercussioni sui trasporti via camion. E anche gli incidenti, i morti e i feriti. L’Aurelia è stata scientificamente trascurata per dimostrare che era inevitabile, anzi, urgente costruire un’autostrada a pagamento al posto della vecchia statale. Per anni è stato solo un sospetto forte che alla strada nazionale numero 1 fosse freddamente applicata la politica del tanto peggio tanto meglio. Uscito di scena nella primavera del 2015 il ras dell’Anas, Pietro Ciucci, che quella strada avrebbe dovuto mantenere in perfette condizioni come il salotto di casa, i sospetti trovano conferma. Fonti autorevoli dell’azienda delle strade ammettono: l’Aurelia è stata abbandonata per scelta. Lo stesso maltrattamento programmato è stato riservato a un’altra grande via, la Orte-Cesena (E 45), la superstrada più lunga d’italia, 250 chilometri dal Lazio alla costa adriatica.
In questo caso la conferma del misfatto è fornita addirittura da Gianni Vittorio Armani, il successore di Ciucci che in un’intervista ha confessato che quella strada è indecente perché è stata a lungo deliberatamente trascurata. Anche nel caso della E 45, l’obiettivo dell’Anas di Ciucci era creare le condizioni perché non si potesse fare a meno di costruire un’autostrada, con caselli e pedaggi naturalmente.
Per l’Aurelia il machiavello è riuscito in parte perché per ora solo un pezzo di statale, i 19 chilometri tra Civitavecchia Nord e Tarquinia, sono stati trasformati davvero in autostrada dalla Sat – società presieduta da Antonio Bargone, un ex politico del Pci, sottosegretario ai Lavori pubblici quando al governo era Romano Prodi e due volte con Massimo D’Alema. Sugli altri 200 chilometri è ancora in corso un braccio di ferro logorante che contrappone due compagini: i favorevoli e i contrari. Del primo schieramento fanno parte i rappresentanti dei partiti a livello nazionale e regionale: tutti i politici, riuniti in una specie di patto che si potrebbe chiamare la “Toscana Unione Sacra Autostradale”, che vanno dal cecinese ex missino ed ex An e poi Forza italia, Altero Matteoli – dal 2008 al 2011 ministro dei Trasporti nel governo di Silvio Berlusconi e per 5 anni dal 2006 al 2011 anche sindaco di Orbetello, uno dei comuni del litorale tirrenico attraversato dall’Aurelia – fino al presidente Pd della Regione Toscana, Enrico Rossi, e a Riccardo Nencini, socialista fiorentino del Mugello, viceministro delle Infrastrutture e trasporti del governo Renzi.
I contrari sono, con poche eccezioni, i cittadini e i sindaci dei comuni costieri, spesso anch’essi Pd, i quali giudicano la costruzione dell’autostrada un rimedio così sproporzionato per la soluzione del problema stradale di quelle zone, da trasformarsi in un danno. Soprattutto per il turismo, che per la Maremma e il Grossetano è una delle poche industrie che gira. Contrari sono anche gli ambientalisti, a cominciare da Legambiente che pur non opponendosi affatto al miglioramento della strada, ora davvero insufficiente, propongono una soluzione meno devastante e costosa dell’autostrada, ma altrettanto efficace rispetto ai non elevatissimi livelli di traffico. L’alternativa prospettata consiste nell’allargamento della via e nell’eliminazione dei pericolosissimi incroci a raso che ora sono centinaia (l’ufficio tecnico del comune di Orbetello, per esempio, ne ha contati circa 400 solo nel proprio territorio).
In una posizione terza, cioè né favorevole a spada tratta all’autostrada, ma neanche contraria, c’è Aspi (Autostrade per l’italia) dei Benetton, di cui è amministratore Giovanni Castellucci che nel 2015 ha inglobato anche la Sat-Società dell’Autostrada Tirrenica rilevando con 84 milioni di euro le quote del Monte dei Paschi e del costruttore ed editore romano Francesco Gaetano Caltagirone. Aspi in italia significa autostrade per antonomasia, una potenza con 2.800 chilometri in gestione, circa la metà di tutte le autostrade nazionali e una forza di lobby che poche altre aziende possiedono. Aspi per la Tirrenica si è messa alla finestra: dopo aver finito i 19 chilometri tra Civitavecchia e Tarquinia, già partiti e che non poteva rifiutarsi di costruire, ora l’amministratore Castellucci aspetta gli eventi. Sa benissimo che costruire gli altri 200 chilometri di nuova autostrada ha poco senso perché costerebbero un occhio della testa e i ritorni in termini di pedaggio sarebbero incerti.
Dai tecnici dei suoi uffici, Castellucci ha fatto studiare la faccenda ed è venuto fuori che in base ai flussi di traffico rilevati, per rendere profittevole l’investimento dovrebbero essere imposti pedaggi così elevati che alla fine gli automobilisti e i camionisti farebbero di tutto per scappare. Ma Castellucci oltre che un ingegnere e un amministratore attento è anche un uomo di mondo e sa che in Italia quando si parla di grandi opere, come di fatto è la Tirrenica, bisogna andarci con i piedi di piombo sia per dire sì sia per dire no. L’esperienza insegna che in questi casi valgono logiche sghembe che poco hanno da spartire con le esigenze dei trasporti e dello sviluppo economico. E perfino la potente lobby del casello, di cui Castellucci è il regista, di fronte alla formidabile “Toscana Unione Sacra Autostradale”, si fa prudente, dando un colpo al cerchio e uno alla botte. E mettendo in conto che la politica alla fine possa imporre il ‘sì’, si porta avanti con il lavoro affidando a un pool di ingegneri il progetto del tracciato. Anche perché con la Tirrenica, per Aspi non ci sarebbero solo aspetti incerti e negativi, ma anche qualche bell’affare sotto forma di lavori per la sua Spea, società di ingegneria e costruzioni.
Finita l’era Ciucci, l’approccio dell’Anas all’Aurelia ha cambiato verso e alla trascuratezza programmata di prima, il nuovo presidente amministratore Gianni Vittorio Armani contrappone il ripensamento con un massiccio contro-programma di recupero e manutenzione e una spesa di 116 milioni di euro fino al 2020.
Scippo di Stato, il nuovo libro di Daniele Martini edito da Paper First
Il lato oscuro delle privatizzazioni, la cricca che si arricchisce sulle spalle del cittadino, i ponti che crollano a una settimana dall’inaugurazione. Pezzi diversi dello stesso “Scippo di Stato”. Nel suo libro Daniele Martini racconta l’era dei super-manager. Quelli arrivati per rilanciare Poste e Ferrovie dello Stato e quelli che guidano l’Anas. Tutti hanno puntato ad allargarsi, anzi a “modernizzarsi”. Ma è sempre un bene? E qual è il prezzo da pagare? Per scoprirlo basta andare all’ufficio postale, che ormai somiglia sempre di più alla filiale di una banca. Lettere e pacchi, però, si perdono per strada.