Il dibattito di ieri notte fra Hillary Clinton e Donald Trump ha ricordato per certi versi quello italiano fra Matteo Renzi e Gustavo Zagrebelsky sul Referendum costituzionale. Nel senso che da una parte (Clinton) c’era chi provava ad argomentare le sue ragioni; mentre dall’altra (Trump) si preferivano slogan e colpi a effetto.
Con alcune importanti differenze: Clinton, pur argomentando, svolgeva un discorso propagandistico “pro domo sua”, mentre Zagrebelsky (da “incorreggibile” professore) era tutto calato nella obiettività del suo ragionamento.
Un’altra differenza è che Trump ha coperto di insulti (bugiarda, incapace, pronta a truccare il voto ecc.) la sua avversaria; Renzi invece si era prodigato in una lunga sequenza di “professore io la rispetto, ho letto i suoi libri” e via lusingando.
Quanto al linguaggio del corpo durante il dibattito, se Hillary Clinton era tutta un sorriso, Donald Trump esibiva costantemente una mascella irrigidita. Lei poi era ulteriormente ingentilita da un abito bianco, un evidente messaggio di sobrietà, pulizia e correttezza.
Concluso il dibattito, poi, per la Clinton (mescolata alla folla della platea) è stata una profusione di sorrisi a tutta chiostra e generosi abbracci con baci e selfie. Mentre Trump è rimasto sempre immusonito e scostante, anche quando i suoi famigliari lo hanno raggiunto sul palco per i rituali saluti e convenevoli. Forse voleva assumere ed esibire l’atteggiamento di uno “statista” compreso del suo ruolo che perciò non scherza mai, soprattutto dopo aver demolito con furia iconoclasta ogni aspetto della presidenza di Bill Clinton e di Barack Obama (quasi a sottintendere, non il classico “dopo”, ma l’innovativo “prima di me, il diluvio”…).
Stupisce l’estrema disinvoltura con cui Trump si è offerto agli attacchi di chi gli rimprovera un deficit di democrazia, dichiarando di non sapere se avrebbe accettato l’esito del voto (traduzione automatica: la vittoria della Clinton). Non ha proprio voluto pronunciare la formula sacramentale del rispetto per il risultato quale che sia. L’impressione è che l’abbia fatto apposta, per rivolgersi ancora una volta al suo pubblico col piglio del “duro” che non concede nulla al “nemico”, senza preoccuparsi neppure un po’ delle scontate reazioni. Trasformando il “confronto” fra candidati sempre più in un dialogo assolutamente fra sordi, in un muro contro muro di eccezionale durezza.
In linea con la violenza riservata ai media in generale, accusati di avvelenare la competizione elettorale in quanto disonesti e corrotti. Così, forse, sperava di disinnescare la portata dei sondaggi sul dibattito. Che in ogni caso hanno rivelato la tendenza a riflettere la collocazione politica dei “sondaggisti”; posto che secondo la destra Trump avrebbe stravinto, mentre fuori di quest’area chi vince, sia pure di misura, è la Clinton.