Nonostante le smentite renziane, “il rinvio non esiste”, continua assordante e intenso il rumore di fondo su un eventuale spostamento del referendum costituzionale, complice ovviamente la decisione della giudice milanese che dovrà esprimersi sul ricorso dell’ex presidente della Consulta Valerio Onida. Sibila un’autorevolissima fonte di lato berlusconiano: “Che faccia tosta il premier. Fino a qualche giorno fa ha supplicato il presidente (Berlusconi, ndr) di aiutarlo a rinviare e adesso invece fa finta di nulla”.
Il fronte del rinvio sarebbe ampio, in particolare all’interno della maggioranza. Di qui innanzitutto i contatti tra il premier e l’ex Cavaliere, avvenuti tramite gli ambasciatori Gianni Letta e Fedele Confalonieri, per sondare Forza Italia sul rinvio. Il pressing di Palazzo Chigi sarebbe stato insistente soprattutto dopo la tragedia del terremoto infinito dell’Italia centrale. E a quel punto, Berlusconi avrebbe fatto comunicare la sua risposta definitiva: “Sono contrario a ogni spostamento della data”. Un no chiaro e forte. Aggiungono informati berlusconiani: “Le offerte del premier ci sono state anche prima delle scosse”. Segno, questo, che il piano renziano del rinvio ha trovato solo una sponda successiva nella richiesta di unità nazionale per il sisma.
Alla fine non c’è stato nulla da fare, raccontano da Arcore, dove è stata registrata come “angosciosa” la paura renziana per il referendum. La speranza di un rinvio politico, ancora prima che giudiziario, sposa infatti la tendenza di un No vincente, verificata ormai da ogni istituto di sondaggi. Così, vista l’impossibilità di ribaltare il risultato, non resta che sospendere la partita e farla disputare nel nuovo anno, il 2017.
Paradossalmente, però, il pesante gioco sulla data del 4 dicembre investe anche quei settori del Sì fortemente preoccupati dalla personalizzazione di fatto impressa alla consultazione dal premier, ormai onnipresente testimonial tv del Sì. Cioè tutti coloro convinti che la trasfigurazione del referendum in plebiscito su Renzi alla fine si rivelerà catastrofica. E qui in primissima fila c’è il presidente emerito Giorgio Napolitano, che ha pure criticato pubblicamente il premier per la personalizzazione. Non solo. L’Emerito avrebbe preferito una maggiore incisività renziana sul promesso maquillage dell’Italicum. L’altro giorno, alla Camera, esponenti misti del No, sia ex democrat sia forzisti, hanno ragionato a lungo sui “mandanti” del ricorso di Onida, oggi tra i sostenitori del No alle riforme ma che vanta un antico legame con Napolitano. Non a caso fu uno dei saggi scelti dal Quirinale per prendere tempo sulle riforme durante il governo Letta. Fu lo stesso Onida ad ammetterlo in una finta telefonata di un programma radiofonico.
Secondo la versione proveniente da questi ambienti eterogenei del No, il ricorso di Onida sarebbe l’unica strada che Napolitano avrebbe per impedire il disastro da lui paventato. È la logica di Sistema che ha bloccato o sospeso la democrazia dal 2011 a oggi, dall’anno cioè delle dimissioni di Silvio Berlusconi da presidente del Consiglio. In pratica, lo scenario immaginato dall’anziano Emerito, corroborato persino da alcuni settori “responsabili” del renzismo di governo, è nerissimo: il premier impegnato in una folle corsa suicida fino al 4 dicembre, indi lo schianto e il Paese consegnato ai grillini nelle successive elezioni politiche. Al contrario, un rinvio giudiziario con conseguente spacchettamento del quesito implicherebbe: a) sereno cambiamento della legge elettorale; b) messa in sicurezza delle riforme e del governo e quindi maggiori possibilità, rispetto a oggi, di vittoria del Sì. Il lavorìo di Napolitano non deve meravigliare: come rivelato già dal Fatto, Re Giorgio avrebbe finanche sondato Mario Monti, come ministro però, per un governo di crisi qualora vincesse il No.
In ogni caso, il ricorso di Onida sta “facendo tremare”, per usare le parole di un noto volto del No, i palazzi romani. Perché, riferiscono, “è ben scritto” e non tira in ballo l’attuale inquilino del Quirinale, Sergio Mattarella. Evaporata la pista di un rinvio politico (ieri chiesto ancora dall’alfaniano Cicchitto), battuta invano dal premier in nome dell’unità nazionale post-terremoto, adesso tocca a un tribunale di Milano dire l’ultima parola sull’evento politico più importante degli ultimi anni. L’attesa è pari se non superiore a quella della Cassazione di tre anni fa sulla condanna Mediaset di B.