Lunedì di Ognissanti, il M5S di Beppe Grillo ha di nuovo superato nei sondaggi, dopo molti mesi, il Pd di Matteo Renzi: il 31,2 contro il 30,6%. Notizia poco gradevole per il premier anche perché, secondo la rilevazione Emg per il Tg La7 di Enrico Mentana, si rafforza il vantaggio dei Cinque Stelle sul Pd, oltreché sull’intero centrodestra nel caso di ballottaggio elettorale. Senza contare che il formidabile pressing televisivo renziano delle ultime settimane non sembra avere scalfito i tre punti in più che il No continua a mantenere sul Sì a un mese dal referendum costituzionale del 4 dicembre (dati aggiornati al 3 novembre, ndr).
Per carità, si tratta pur sempre di voti immateriali e soggetti a estrema variabilità, ma qualcosa ci dicono. Prima di tutto che malgrado i tanti guai ed errori accumulati dalla giunta Raggi a Roma si allarga (o almeno non decresce) la fascia elettorale favorevole a un governo pentastellato. Questi cittadini, e sono svariati milioni, sembrano dire: meglio gli incapaci dei ladri perché i primi possono sempre migliorare mentre è difficile che i secondi perdano il vizio. Ma c’è una seconda conseguenza del “sorpasso” e riguarda il poker. Cosa c’entri l’azzardoso gioco di carte con la politica ce lo ha spiegato Ciriaco De Mita nell’intervista ad Antonello Caporale dopo il match televisivo con Renzi, da lui definito appunto “un giocatore di poker”.
Una definizione che non è piaciuta a quanti (Massimo Bordin sul Foglio) pare un modo poco elegante (già usato, si ricorda, da Enrico Berlinguer con Bettino Craxi) per delegittimare l’avversario. Forse, ma se si guarda con occhio smaliziato alla catena di aperture, rilanci e bluff che giusto dal boom elettorale grillino del 2013 è stato messo in campo per mettere fuori gioco (o dentro il gioco) il movimento di Grillo, si noterà qualche attinenza con il tavolo verde o forse soltanto con il gioco delle tre carte.
Abbiamo scritto “boom” che è l’espressione confutata dall’allora inquilino del Quirinale, Giorgio Napolitano, per sminuire la portata del primo grande successo elettorale del M5S nelle Amministrative 2012. A chi gli chiedeva un commento sul risultato imprevisto l’allora presidente replicò con palese fastidio: “Boom? Io ricordo solo quello degli anni 60”. Dovette ricredersi un anno dopo quando il Movimento raccolse 8 milioni e 600 mila voti e da quel momento, sarà un caso, ma tutte le mosse di Re Giorgio sembrarono finalizzate a mettere i Cinque Stelle, considerati e non a torto forza antisistema, nella condizione di non nuocere al sistema. Fallito miseramente il corteggiamento dell’allora leader pd Bersani (la famosa riunione in streaming), tolto di mezzo il troppo cauto Enrico Letta, l’asse Napolitano-Renzi ha prodotto il combinato disposto riforma Boschi-Italicum. Evidentemente pensato per blindare a Palazzo Chigi lo statista di Rignano e contemporaneamente condannare il comico genovese a una sterile opposizione nei secula seculorum.
Le cose poi hanno preso un’altra piega ma qui entra in scena il pokerista (per dirla con De Mita) che proprio nei momenti più difficili sa come giocare le sue carte. Per esempio: la reiterata smentita di un rinvio del referendum a primavera (nella speranza che nel frattempo il Sì si riprenda) sarà o no un bluff, visto e considerato che molto dipende dal Tribunale di Milano dove pende il ricorso Onida? E ancora: in un Italicum riveduto e corretto (anche qui in attesa di una pronuncia togata, quella della Consulta) quanto dispiacerebbe al premier una possibile abolizione del ballottaggio che, oggi, sembra cucito apposta per consegnare l’Italia ai Cinque Stelle? Del resto, quando Renzi ripete che il prossimo 4 dicembre “ci giochiamo tutto” non dimostra forse lo stesso spericolato sangue freddo di chi punta tutto il piatto (e il destino del Paese) con una coppia di sette in mano? Ma come dice quel personaggio di Cincinnati Kid: “A volte basta la mossa sbagliata al momento giusto”. Quanto a Grillo è l’avversario peggiore: uno che non sa giocare, ma vince lo stesso.