Caro Gianni Cuperlo, lei è un caso davvero difficile: riassume in sé tali caratteristiche – serio, perbene, colto (una rarità nel panorama politico) – che se solo facesse seguire azioni corrispondenti, sarebbe perfetto. Invece è l’apoteosi dell’imprevedibilità: uno si aspetta A e lei spiazza con Z. Non è semplice incoerenza, no, il suo comportamento è assimilabile più al principio di indeterminazione di Heisenberg: come l’elettrone viene modificato già solo dall’osservazione, così la “particella” Cuperlo la cerchi con Bersani ed è già schizzata in piazza dalla Boschi. Altri esempi?
Schivo e “dallo spessore culturale insolito per un politico”, ha sfidato Renzi alla segreteria del Pd. Puntando sulla cultura? No, sull’estetica. “Bello e democratico” era il suo motto, con tanto di foto alla Daniel Craig. Anche sui soprannomi spazia tra opposti: dal “Robert Redford della Mitteleuropa”, per la nascita triestina, al “Sallusti coi capelli” di Crozza. Laureato con tesi sulla comunicazione di massa, docente di Comunicazione pubblica e politica, responsabile comunicazione dei Ds, autore della Storia e futuro della politica in televisione, è tutto fuorché un grande comunicatore: slogan astrusi (“Benficenti, tolleranti o solidali?” per la Fgci; un verso di Rilke per i Ds: “Il futuro entra in noi molto prima che accada”, scambiato da compagni somari – e maligni – per una campagna anticancro); testi soporiferi (la leggenda narra che, dopo due libri scritti insieme, D’Alema le preferì Rampini perché la sua stesura lo fece addormentare); latita su Twitter non riuscendo a stare nei 140 caratteri. Ce l’ha fatta però il 9 febbraio 2014, quando twittò sarcastico: “A @matteorenzi va riconosciuta la coerenza: ha sempre detto di voler fare un passaggio elettorale per arrivare a Palazzo Chigi”. E – coerente pure lei – poco dopo gli votò la fiducia.
È proprio nel rapporto con Matteo che il principio di indeterminazione di Cuperlo trova conferma. Da quel tweet non gli ha fatto più sconti: “Senza la sinistra il Pd non c’è, non è possibile”, “La mia generazione è stata schiacciata dalla scarsa generosità dei fratelli maggiori e dalla famelica ambizione di quelli minori”, con la Leopolda Renzi sta facendo “un partito parallelo”, fino ai durissimi affondi in direzione: “Ti manca la statura del leader anche se coltivi l’arroganza del capo”, compreso l’ultimo sul referendum: “Senza accordo vero sull’Italicum, voto no e mi dimetto”. Parole come pietre. Pietra pomice, però.
Perché, caro Cuperlo, se è vero che non ha votato il Jobs Act, la Buona Scuola e l’Italicum (non ha votato contro, era assente), la riforma costituzionale invece l’ha votata (“ha luci e ombre”, ma ha votato entrambe) e, dopo aver minacciato No e dimissioni, era al #Sivainpiazza a fare selfie con la Boschi. Unico rappresentante della minoranza presente.
Voleva “ridurre le distanze e cercare una sintesi”, ma ormai “l’hanno rimasto solo”. Ok, tra Mozart e Salieri lei si è sempre identificato con Salieri, “i suoi tormenti, l’impossibilità di essere il numero uno”. Ma ammesso – e non concesso – che Renzi sia Mozart, lei chi è davvero, Salieri o Tafazzi?
Esca finalmente dall’indeterminazione: voterà Sì o No?
Un cordiale saluto.