Sembravano diversi, ma per un piatto di lenticchie si sono già placati. O almeno così sembra. Gianni Cuperlo e Matteo Richetti sono assai diversi, ma li accomuna l’essere redenti renziani: “Redenziani”. Prima reprobi e poi folgorati sulla via della Leopolda: son soddisfazioni. Cuperlo è uno dei parlamentari più dotti d’Italia, un po’ perché anche il Canaro sembrerebbe Kant se rapportato a D’Anna e un po’ perché è colto davvero. Uomo garbato e intelligente, ieri dalemiano e oggi boh, si è rivelato negli anni un campione di penultimatum, che regala ogni giorno senza riposarsi mai. Ogni volta che c’è una direzione Pd, si ritaglia i suoi cinque minuti di libertà, uscendo dal ruolo di Don Abbondio e assurgendo (quasi) a ribelle. I suoi interventi, tutti riassumibili con un “se continuate così porto via il pallone”, rimbalzano subito in rete e tutti titolano: “Forse Cuperlo se ne va”. E ogni volta è quel “forse” a vincere.
Giorni fa, per l’adunanza romana dei finti nuovi, Cuperlo ha abbattuto il record di tristezza, appartenente fino a quel momento a Orfini in ciabatte, facendosi un selfie con la Boschi. Poi, quando Renzi gli ha venduto un’auto usata e pure rotta, ha finto che fosse una Porsche e ha gridato al miracolo: “L’Italicum cambierà dopo il Sì, mi fido e torno all’ovile”. Renzi è ancora lì che ride: neanche lui si sarebbe disegnato da solo dei “dissidenti” così impalpabili.
La storia di Richetti è differente. Renziano della prima ora, è poi caduto in disgrazia non per motivi politici bensì personali. Lasciando stare il gossip imperante, assai attivo tanto a Firenze quanto a Modena, Richetti aveva un difetto inaccettabile agli occhi del Mister Bean di Rignano: gli faceva ombra. Come tutti i diversamente avvenenti, e anche per questo insicuri, Renzi si circonda sempre di uomini al cui confronto Beruschi apparirebbe Jude Law. Da qui il proliferare dei Carrai, Lotti, Sensi, Faraone e Nardella. È del tutto ovvio che, se ti fai accompagnare da gente così, puoi quasi passare per figo. Per questo Richetti era pericoloso: piacente e piacione, nonché scaltro e preparato, andava isolato in ogni modo.
Così, fino a poche settimane fa, Richetti è caduto nel dimenticatoio. Nei talk show assurgeva ad anello di congiunzione tra Civati e Renzi: non abbastanza dissidente, ma neanche pienamente renziano. Renzi lo usava come carne da macello. Richetti, da par suo, alternava riformismo e autocritica. Col sorriso sulle labbra. Poi, quando lui stesso pareva avere verso Renzi la stessa stima che ne ha Zagrebelsky, è tornato neanche un mese fa a Otto e mezzo. Parlando di referendum, è parso credibile. E lì è cambiato tutto. Per il giglio magico è stata una rivelazione sconvolgente: “Oddio, forse non sono tutti come Rondolino, Andrea Romano e la Picierno!”. In realtà, proprio durante quella puntata – a cui ha partecipato chi vi scrive – Richetti non mancò di dire qualche castroneria, tipo che le firme per le leggi di iniziativa popolare salgono “soltanto” da 50mila a 120mila (no: salgono a 150mila). Non è però da questi particolari che si giudica un propagandista. Così, sabato, Richetti è stato riammesso a corte. Addirittura alla Leopolda, dove – pur di riprendersi uno strapuntino di ribalta – si è ridotto a fare la spalla a vari comici. Che dire? Spiace. Ma mica per noi: per loro. È un peccato che si vogliano così male.