Lo scontro politico corre sul web. Ieri il quotidiano La Stampa ha scritto che la Procura di Firenze sta svolgendo delle indagini su una presunta rete di “cyber propaganda” ipotizzando che sia sostenuta e alimentata dalla Casaleggio Associati, in pratica dal Movimento 5 stelle. Le indagini, secondo il quotidiano torinese, sarebbero partite da una denuncia di Palazzo Chigi contro un profilo twitter (definito “account chiave”) collegato poi ad altri e intenti a screditare (spesso anche con insulti) gli esponenti dell’esecutivo. Letto l’articolo, Emanuele Fiano del Pd ha presentato un’interrogazione al governo chiedendo se “esiste una struttura che lavora nel web con il compito di diffamare il Pd e le istituzioni.
Se vero, da chi è controllata e in che modo è organizzata?”. Poco dopo, a Strasburgo, è stato imitato da Pina Picierno all’europarlamento. Insomma: il Pd prende spunto da un articolo per cercare di individuare una sorta di regia occulta M5S dietro alcuni profili twitter. Ma in procura a Firenze nessuna indagine è stata avviata in tal senso. Né alcun fascicolo è stato aperto.
C’è una denuncia, questo è vero, non presentata dal governo ma da Luca Lotti attraverso il suo avvocato, Alberto Bianchi, tesoriere della fondazione Open – che fa riferimento al premier – e nominato dal governo nel cda dell’Enel. Una denuncia nella quale il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio lamenta di essere stato diffamato non da una rete di persone tra loro collegate ma solamente da una: Beatrice Di Maio. Denuncia presentata martedì a fine mattina ai Carabinieri e ieri non ancora trasmessa al procuratore capo di Firenze, Giuseppe Creazzo.
Lo stesso avvocato Bianchi, contattato dal Fatto, ha confermato che nella denuncia “si rileva che l’account twitter autoattribuito a Beatrice di Maio ha detto che Lotti è mafioso. Lotti non è mafioso. Ergo, Lotti ha denunciato-querelato, chiedendo che si punisca chi sta dietro a quell’account e ogni altro soggetto che sarà ritenuto responsabile”. Bianchi ha aggiunto che la querela è rivolta esclusivamente a Di Maio, non è ipotizzato alcun collegamento con altri soggetti né che siano appositamente finanziati da qualcuno, e che si riferisce a quanto pubblicato su twitter da Di Maio il 7 aprile: la frase – intercettata nell’inchiesta di Potenza che ha coinvolto l’ex ministro Federica Guidi – “ho le foto di Delrio con i mafiosi”, accompagnata dalle immagini di Delrio insieme a Matteo Renzi, Maria Elena Boschi e Lotti.
Di essere stata denunciata Beatrice Di Maio lo ha saputo ieri da La Stampa scoprendo anche di far parte di una presunta rete di “cyber propaganda” insieme ad altri utenti. Contattata su twitter ha spiegato di non conoscere le persone alle quali è stata associata. “Mai visti né sentiti, alcuni neanche li seguo qui; non so poi se esiste davvero qualcuno che paga qualcuno sia da una parte o dall’altra della barricata, so che io non c’entro”. Ieri Di Maio si è affidata a un avvocato. Ora la denuncia arriverà alla Procura che valuterà come agire. Sicuramente la querela di Lotti seguirà il suo corso ma a quanto riferito da Bianchi non sembra ci siano estremi tali da poter giustificare un’indagine a larga scala su una presunta rete di propaganda. Anche perché, come conferma un tecnico di data intelligence, Gianluca Pontecorvo, “sono strutture comuni a tutti i partiti, in Italia è una realtà; certo poi bisogna vedere gli strumenti usati e come si sono applicati, quindi toni, insulti”, prosegue l’esperto della Isay Group.
Oltre al Pd, che si è mosso come un esercito dietro la inesistente inchiesta di Firenze, anche il sito bastaunsì ha denunciato di aver subito attacchi informatici che l’hanno lasciato offline.