La notizia è arrivata sul tavolo dell’antiterrorismo solo pochi giorni fa. Recita: “L’Isis ha dato mandato ai mujahed kosovari o comunque dell’area balcanica di colpire il territorio italiano”. Il “cifrato” ha subito messo in allarme gli esperti della sicurezza. L’appunto non proviene dai Paesi dell’area mediorientale, come già successo in passato, ma da casa nostra e in particolare dal circuito delle carceri. “Il dato è rilevante, da quando è scattata l’emergenza per possibili attacchi del Califfato è la prima volta che abbiamo una segnalazione così specifica”, spiega una fonte qualificata della nostra intelligence. Anche perché la casa di reclusione è quella di Rossano Calabro, uno dei due istituti, assieme a quello di Macomer in Sardegna, dove si trovano buona parte dei detenuti per terrorismo islamico. Qui la notte del 13 novembre 2015, a poche ore dal massacro del Bataclan, alcuni di loro inneggiarono “alla Francia liberata”.
Ma c’è di più: l’annotazione arriva direttamente dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap). Prosegue la fonte: “Ancora non sappiamo come sia filtrata. Se sia frutto di una intercettazione oppure di una confidenza fatta a qualche agente della polizia penitenziaria”. Ma non c’è solo questo. Stando all’informativa del Dap, gli ordini, arrivati dal dipartimento di Daesh per gli attacchi all’estero, spiegano chiaramente anche il tragitto che i mujahed devono seguire. L’indicazione è quella di passare dal Kosovo in territorio bosniaco, storicamente zona ad altissima densità di comunità salafite, per poi proseguire verso l’Italia, facendo tappa in Svizzera dove i controlli mirati alla minaccia jihadista lasciano ancora molto a desiderare, oppure entrando a Trieste. Nella città friulana, per molto tempo, sono stati di casa Nezirevic e Hasanagic, due imam radicali di origini bosniache. Cosa colpire resta, naturalmente, un’incognita. “Ma certo – ragiona l’antiterrorismo – il nord e parte del centro Italia rappresentano le aree dove maggiormente si concentrano le comunità originarie dei Balcani”. Vi sono, invece, indicazioni sui luoghi dove rifugiare dopo un possibile assalto. Il consiglio è quello di portarsi verso la Germania.
E che la notizia sia molto più che concreta, lo dimostra una recentissima nota riservata dei Servizi segreti nella quale si legge: “Le intensificate attività di proselitismo radicale nei Balcani presentano elevati profili di minaccia per l’Italia, in virtù della sua contiguità geografica e della presenza sul territorio nazionale di compagini originarie di quei paesi, che rimangono chiuse e autoreferenziali laddove i vincoli etnici risultano più forti della spinta all’integrazione”. In questo momento sono tre i luoghi su cui punta la lente dell’intelligence: da un lato la comunità di Monteroni d’Arbia in provincia di Siena, dall’altro alcune aree di Lecco e Cremona. In Toscana, l’enclave kosovara fa riferimento all’imam Seat Bajaraktar, il quale, secondo l’antiterrorismo, ricopre un ruolo di cerniera tra l’Italia e il Kosovo, in particolare con la cittadina di Restelica. Nel suo paese, l’imam ha incontrato importanti leader wahabiti come Bilal Bosnic, tra i più importanti reclutatori di foreign terrorist fighters (oggi in galera a Sarajevo) e come il giovanissimo Idriz Bilibani, altro profeta del jihad, kosovaro di Prizen, attualmente in libertà, dopo qualche anno di prigione. Di Bilibani ha parlato recentemente Rok Zavbi, il primo pentito dell’Isis in Italia. “E’ stato presso l’associazione El Iman di Lubiana a fare delle prediche molto dure contro l’Occidente”. Bilibani si ispira a un altro imam, Nusret Imamovic, passato da Al-Nusra allo Stato Islamico.
Situazione simile si osserva in provincia di Lecco, teatro di una delle ultime inchieste della procura di Milano che ha coinvolto personaggi di origine kosovara e marocchina. Qui nel comune di Barzago, nel 2015, una donna albanese, Berisha Valbona, è partita per la Siria portandosi via il figlio di sei anni. Sempre qui, gravitano personaggi radicali originari dei Balcani, considerati possibili reclutatori. Altro luogo centrale è Motta Baluffi (Cremona) dove vive una numerosa comunità kosovara. Qui nella cascina-moschea per molto tempo è stato di casa lo stesso Bosnic. “L’interiorizzazione dell’appello jihadista – scrive l’intelligence – è favorita da frequentazioni personali e da alcuni imam cui è riconosciuta una certa autorevolezza”. Un dato da non sottovalutare. Infine, il nuovo e concreto allarme in Italia si lega all’ultima emergenza segnalata da buona parte degli investigatori europei, compreso il direttore dell’Fbi James B. Comey Jr: il ritorno dei foreign terrorist fighters dalle zone di guerra. In Italia su 120 partiti ne sono già rientrati dodici.