Matteo Renzi sei giorni dopo la disfatta al referendum e dopo il discorso della sconfitta, con drammatico annuncio di dimissioni, sta saldamente a Palazzo Chigi: da lì organizza le sue consultazioni parallele per il secondo giorno consecutivo. Tratta con la maggioranza e con le correnti del Pd non solo per la scelta del suo successore, ma anche per la formazione del governo. Ha chiesto persino a Maria Elena Boschi di restare. Manda dal presidente della Repubblica una delegazione del Pd, per tradurre i suoi desiderata. Per fermare il gioco delle correnti sui ministri, convoca una direzione del Pd per lunedì mattina. E per blindare l’accordo tratta pure sulle nomine. Una sorta di “rieccolo”, come Indro Montanelli chiamava Fanfani, altro toscano pronto a rinascere dalle proprie ceneri.
Il nome di Paolo Gentiloni – il premier scelto da Renzi con l’accordo dei capi corrente del Pd – non viene neanche pronunciato dai quattro che vanno al Quirinale (i capigruppo di Senato e Camera, Zanda e Rosato, il vice segretario Guerini e il presidente Orfini). Si limitano a un colloquio che porta avanti due concetti fondamentali: esprimono al capo dello Stato la “più assoluta disponibilità a sostenere la soluzione che vorrà indicare”. E poi illustrano “la linea emersa dalla direzione Pd” (ovvero un governo sostenuto da tutti) e prendono atto della “impossibilità di portarla avanti per la contrarietà delle opposizioni”. È Zanda a dare la linea (di Renzi) nelle dichiarazioni in uscita, parlando davanti alla Sala alla Vetrata. “La crisi si è aperta dopo gli esiti del referendum e le dimissioni di Matteo Renzi che le ha rassegnate, fatto insolito nel costume politico del Paese”, ci tiene a sottolineare. E poi chiarisce: “L’obiettivo è quello di andare al voto il più velocemente possibile”. Per Renzi, che ha l’obiettivo di tornare premier il più rapidamente possibile, dopo le elezioni, la data di scadenza dell’esecutivo è la cosa più importante.
Nel frattempo, Renzi è a Palazzo Chigi in mezzo agli scatoloni. Intorno a lui si dà per scontato che nella tarda mattinata di oggi il Quirinale darà l’incarico a Gentiloni. Al Nazareno descrivono un colloquio dai toni distesi. Ma che qualcosa – almeno quanto a buona educazione – non vada liscio come l’olio è chiaro dal fatto che Mattarella, davanti ai cronisti, ribadisca tutti i suoi paletti sulla legge elettorale più una lunga lista di impegni che il prossimo governo dovrà affrontare. Perché la delegazione Pd non ha fatto nomi? Domanda che aveva fatto nascere perplessità ed evocato il dubbio che Renzi, nonostante tutto, stesse accarezzando ancora l’ipotesi del reincarico. In realtà, non ne aveva alcuna intenzione, come fa trapelare alle agenzie di stampa, tanto che in serata arriva la notizia della sua telefonata al presidente della Repubblica in cui indica – lui, però, non il Pd – Paolo Gentiloni a capo del governo.
D’altronde in questi giorni, Renzi a tutti quelli che gli stanno vicino aveva fatto sapere di essere già oltre la premiership, che l’importante è fare presto. Questo però non gli ha impedito di ricevere in rapida successione ministri uscenti, ma pronti alla riconferma. La linea: quello che nascerà magari non sarà un Renzi bis, ma un governo teleguidato da Renzi. Linea, peraltro, data a tutte le cancellerie europee e a tutte le ambasciate, in questi giorni, nel nome della stabilità. Renzi ha visto Angelino Alfano (che va verso la conferma e chiede anche quella di Lorenzin alla Salute, che era data in bilico, e di Costa alla Famiglia). Poi Boschi e le ha chiesto di rimanere: la “madrina” delle Riforme in questi giorni era pronta a lasciare, visto anche lo stress personale degli ultimi mesi; nelle ultime ore è apparsa indecisa e molti la danno già confermata in squadra. A Chigi arrivano pure Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo economico, e Andrea Orlando (Giustizia). Entrambi dovrebbero rimanere: il Guardasigilli è fondamentale per la tenuta del Pd. La trattativa più dura è quella con Dario Franceschini, che vuole portare Piero Fassino al ministero degli Esteri (liberato da Gentiloni): una manovra che insospettisce il premier, anche sulle sue intenzioni per la durata del governo. Alla fine, dovrebbero uscire solo Giuliano Poletti e Stefania Giannini. In entrata, in quota Verdini, Marcello Pera o la promozione di Enrico Zanetti. Dovrebbe restare anche Marianna Madia alla P.A., che d’altra parte ha fatto sempre parte dei giri che contano.
Se tutto va come previsto, Renzi domani chiederà l’ennesimo ok puramente formale alla direzione del Pd, dopo aver fatto tutto da solo. Poi inizierà il congresso. A quel punto si vedrà se le correnti del Pd rispetteranno l’accordo che vuole che il governo sia di breve durata o partiranno all’attacco del segretario. E si capirà se lui stesso garantirà il sostegno a Gentiloni o gli farà una guerra sotterranea tutti i giorni. Per distinguere la sua immagine dalle scelte che il governo dovrà fare. O anche solo per chiarire chi comanda.