Chi ha ucciso l’ambasciatore russo ad Ankara probabilmente non otterrà lo scopo che forse si prefiggeva, impedire che oggi a Mosca i ministri degli Esteri di Turchia, Russia e Iran formalizzino un accordo che è già nei fatti. I bombardieri russi e la fanteria iraniana hanno potuto lanciare un contrattacco vittorioso ad Aleppo anche perché i turchi hanno rinunciato a fornire armi e rinforzi ai ribelli siriani asserragliati in città; in cambio i turchi hanno avuto mano libera nella Siria settentrionale, dove sembrano riusciti a scongiurare l’esito che più temevano, una continuità territoriale tra zone sotto il controllo dei curdi siriani e contigua al Kurdistan iracheno. Questo lo scambio in corso da settimane, con il silenzio-assenso dei cosiddetti occidentali, spettatori di una partita da cui escono ridimensionati. Quel che però il “vendicatore di Aleppo”, come si è definito, involontariamente ricorda a tutti – satrapi e governi dell’area, movimenti etnici, diplomazie, Stati maggiori, opinioni pubbliche – è che nulla di solido si può costruire con patti faustiani fondati sul sacrificio di intere comunità umane (inclusi i più innocenti, i bambini). Il male genera altro male. Alle stragi fanno seguito altre uccisioni. Nel concreto, consegnare Aleppo ad Assad non è, come si vorrebbe far credere, un machiavellico “male minore”, perché quello, per essere tale, dovrebbe produrre un bene maggiore dell’orrore e della sofferenza che semina: e questo bene non appare affatto nell’orizzonte.
Quel che si intravede, invece, è una spartizione della Siria tra quelli che l’hanno sbranata; e cioè una mischia perenne tra le milizie in guerra, ciascuno con i propri sponsor internazionali, per garantirsi fette di territorio, potere, influenza, ricchezze. Il terrorismo, ovviamente, è parte di questo futuro. Lo vedremo spesso in azione, e talvolta non lo vedremo affatto, mimetizzato già ora in contesti nei quali è difficile distinguerlo. È terrorista l’uccisore del povero ambasciatore russo, secondo la nostra coscienza e secondo tutte le leggi internazionali, Ma non è forse ‘terroristico’ bombardare intenzionalmente la popolazione, quel che sicuramente ha fatto Assad e, forse, anche l’aviazione di Putin? O quel che sembra fare in Yemen l’aviazione saudita? Qui non mancherà la solita obiezione: anche i droni americani, etc. Ma al di là della differenza quantitativa (tra gli ammazzamenti prodotti dagli uni e le stragi prodotte dagli altri) e qualitativa (tra danni collaterali, però talvolta cercati, e massacri “strategici”, mirati a fiaccare la resistenza delle popolazione) non sarebbe proprio questo il momento di resuscitare in fretta l’idea di un limite, di un confine da non oltrepassare? Era l’idea da cui nacquero lo Statuto di Roma e le Corti internazionali. Oggi pare un sentiero abbandonato, l’illusione di una breve fase storica, una sciocca utopia.
Mancando un limite, e con quello regole internazionalmente accettate, dunque un paradigma militare ed etico, non possiamo sorprenderci se una larga parte delle opinioni pubbliche – in Turchia, in Siria, nel mondo arabo – avranno comprensione per l’uccisore dell’ambasciatore russo e lo ricorderanno per quella frase che continuerà a rimbombare a lungo nella regione: “Noi moriamo in Siria, voi morite qui”. E il fatto che l’attentatore non sia un piccolo delinquente convertito al fondamentalismo né un guerriero dell’Isis ma un poliziotto turco, un agente dei reparti anti-sommossa, dunque un uomo dello Stato, contribuirà a renderlo una figura grossomodo accettabile anche a molti che non sono estremisti.
Il governo turco sembra rendersi conto dell’insidia che nasconde il profilo dell’attentatore perché ha subito provato a manipolarlo, spacciando il poliziotto omicida per un seguace del solito Fethullah Gülen, ex alleato e adesso bestia nera del presidente Erdogan. L’operazione è stata affidata al sindaco di Ankara, lo stesso che mesi fa teorizzò che la fascinazione esercitata da Gülen, o comunque la ramificazione della sua organizzazione, dipendessero dall’impiego di jin, geni, come il genio della lampada nella favola di Aladino. Il sindaco lo disse in pubblico, e premise: non ridete per quel che sto per dirvi. Pare questo il livello degli uomini che oggi hanno in mano il destino del Medio Oriente.