Poletti dimettiti”, è un tormentone. Colpa di un paio di frasi: “Conosco gente che se ne è andata ed è bene che stia via, non soffriamo a non averli più fra i piedi”. In mezzo, ci finisce Manuel Poletti, il figlio del ministro del Lavoro. Manuel è il direttore di Setteserequi, il settimanale della provincia di Ravenna. Presiede anche la società editrice, una cooperativa che, in tre anni, ha ricevuto oltre mezzo milione di euro di contributi pubblici. Setteserequi ha due redazioni, certifica 5.000 copie vendute. Nell’elenco dei lettori paganti si segnalano le associazioni economiche locali, di artigianato, di agricoltori, il Pd, le coop del territorio, la potente Cmc: “Ma i nostri sostenitori più importanti sono imprenditori privati vicini a Confindustria”, precisa Manuel.
Manuel, lei è un privilegiato?
Non mi pare. Io mi sporco anche le mani, vado in tipografia e carico in auto i giornali. Da 20 anni faccio il giornalista. Nella nostra cooperativa abbiamo soltanto contratti part-time. Io guadagno circa 1.800 euro al mese.
Setteserequi sopravvive anche con il denaro pubblico.
Vero, rispettando la legge. Il governo Renzi, però, ci ha rovinato.
Prego?
Ha gestito il fondo per l’editoria con tagli retroattivi, dopo che nel 2012 la riforma Peluffo aveva già ridotto giustamente le risorse cambiando i criteri.
Forse dalla Romagna, fra coop rosse e il partito, non si è costretti a emigrare.
Qui c’è un sistema economico che può aiutare, anche aziende editoriali meritevoli come la nostra.
Con 800 mila euro di ricavi totali, ne incassate 250 mila di pubblicità.
Abbiamo 250 inserzionisti che comprano i servizi redazionali o la pubblicità tabellare.
Non saranno così generosi perché suo padre è ministro?
Non credo abbia mai influenzato la nostra attività.
“Se se ne vanno 100 mila italiani, ne restano 60 milioni: non è che i 100 mila che se ne vanno sono intelligenti e quelli rimasti sono tutti pistola”.
Non l’avrei detto in questi termini.
Condivide?
Il significato, sì. Le parole usate, no. Non è automatico considerare un cervello in fuga chi va all’estero e un mediocre chi decide di restare in Italia.
Cosa vuol dire “pistola” per Poletti?
È un’espressione romagnola, di certo non indica un genio.
“Prendere una laurea con 110 e lode a 28 anni non serve a un fico, è meglio prendere 97 a 21”, sempre il ministro.
È una notizia vecchia e ne condivido il significato di fondo.
Traduca.
Che non sempre la laurea con il massimo dei voti assicura la qualità del lavoratore. Non è scontato, almeno.
Manuel, lei ha una laurea?
No, mi mancano pochi esami. Ho 42 anni, mi sono dedicato prima al lavoro e alla famiglia. Ho una bambina. E sono giornalista professionista da cinque anni.
Suo padre si deve dimettere?
No. Perché la sua storia, a parte una frase infelice, racconta di un impegno costante anche per i giovani.