Ci sono i Cinque Stelle di lotta, ma ci sono anche i Cinque Stelle di governo. Le regole del Parlamento europeo penalizzano chi non entra in alcun gruppo parlamentare: è una scelta che forse preserva la purezza, ma che esclude di fatto dai lavori. E rende quindi la presenza a Bruxelles inutile.
Fin dal 2014, Beppe Grillo e i suoi hanno deciso che fare alleanze era inevitabile. L’accoppiata con Nigel Farage e il suo Ukip è sempre stata un po’ spuria, visto che il M5s sarà anche “populista” e “sovranista”, ma non certo anti-europeista nel modo aggressivo e distruttivo degli indipendentisti inglesi. Anzi, nel lavoro quotidiano delle commissioni i Cinque Stelle sono sempre stati molto pragmatici, perfino collaborativi, a differenza degli esponenti di altri movimenti euro-critici come la Lega Nord o il Front National di Marine Le Pen. Su diversi temi, come per esempio le barriere commerciali contro il dumping cinese, hanno addirittura costruito dei fronti trasversali che coinvolgevano anche i socialisti, prendendo l’iniziativa e guidando la campagna.
Nonostante i tentativi del post di Grillo di sostenere che con i liberali di Alde ci sono grandi affinità, comunque, la possibile alleanza con i liberali è altrettanto eterogenea almeno quanto quella con Farage. Difficile trovare la sintesi tra un movimento euroscettico e uno federalista che annovera tra i suoi membri, per esempio, Sylvie Goulard, coautrice di un libro sull’Europa con Mario Monti. E fino a poco fa c’era perfino Olli Rehn che da commissario europeo ha imposto l’austerità all’Italia nel 2011.
Tra i punti di dialogo alla base dell’intesa Alde-M5s spicca per la sua assenza, infatti, qualunque argomento europeo (Alde è contro l’austerità ma favorevole al trattato commerciale Ttip, sul quale i deputati Cinque Stelle hanno diversi gradi di scetticismo).
Rimanere con un gruppo destinato a diventare irrilevante con l’avvio della Brexit, Efdd con Farage, non aveva senso. I Verdi non hanno voluto imbarcare rappresentanti di un movimento con la fama di populista e anti-sistema. Restava l’irrilevanza dei non allineati o Alde. E il leader dei liberali, Guy Verhofstadt, è alla disperata ricerca dei voti che gli permettano di conquistare la presidenza dell’Europarlamento: ha l’appoggio del presidente uscente Martin Schulz e del capo della Commissione Ue Jean Claude Juncker. Uno dei suoi sfidanti diretti, il socialista Gianni Pittella, potrebbe finire per sostenerlo perché da solo non ha i numeri per imporsi ma ha comunque deciso di rompere la grande coalizione con i popolari (che candidano Antonio Tajani). Una coalizione di centrosinistra è possibile e si rafforza parecchio con il possibile ingresso dei 17 deputati Cinque Stelle.
Il Movimento a Bruxelles si dimostra assai più propenso a rifiutare l’isolamento per giocare da protagonista pur sapendo che qualunque scelta (presa in Italia dal vertice o dai parlamentari) causerà critiche e malcontento. La svolta verso Alde avrà due conseguenze. Primo: attenuare l’immagine anti-euro e anti-Ue del Movimento, utile evoluzione in vista delle prossime elezioni politiche in Italia, anche se Grillo dovrà contenere gli esponenti più euroscettici, da Marco Zanni fino ad Alessandro Di Battista. La seconda conseguenza è dare il segnale che, a certe condizioni, il M5s può fare alleanze con i partiti tradizionali, persino con quelli guidati da leader di puro establishment come Verhofstadt. E questo, per quanto faccia arrabbiare la base, terrorizza gli avversari italiani dei Cinque Stelle molto più della vicinanza a Farage.