Il 21 dicembre, subito dopo aver confermato ai magistrati di Napoli che Luca Lotti era tra quanti avevano allertato il Giglio Magico sull’inchiesta Consip, Filippo Vannoni ha preso un treno per tornare a Firenze ma si è fermato a Roma: si è precipitato a Palazzo Chigi per riferire all’amico ministro quanto aveva detto agli inquirenti. Confessandogli, però, di aver mentito ai pm sul suo coinvolgimento. Questo è quanto racconta Lotti il 27 dicembre al pubblico ministero di Roma Mario Palazzi al quale si presenta dopo aver scoperto di essere indagato per rivelazione di segreto e favoreggiamento proprio per aver riferito dell’esistenza dell’inchiesta Consip.
La ricostruzione di quanto avvenuto quel giorno è uno dei passaggi più rilevanti del verbale di dichiarazioni spontanee rese dall’ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Un verbale non segretato e del quale il Fatto Quotidiano ha potuto prendere visione. Dopo aver specificato di conoscere Vannoni dal 2008 ma di non “averlo incontrato nel corso del 2016”, Lotti spiega di esserselo ritrovato davanti per puro caso proprio “il 21 dicembre”. Racconta il ministro che all’alba di quel mercoledì mattina, poco prima delle sette, ha “incontrato casualmente alla stazione di Firenze il Vannoni, con il quale mi sono velocemente salutato apprendendo che si stava recando a Napoli”. I due salgono sullo stesso treno che parte alle 6.50 da Santa Maria Novella. Lotti alle 8.48 scenderà a Roma Termini, mentre Vannoni proseguirà fino al capoluogo campano dove arriva alle 9.55 e corre in procura perché convocato dai pm Henry John Woodcock, Enrica Parascandalo e Celeste Carrano. Del resto quella mattina su quel treno Vannoni ci sale solo per questo motivo: andare a Napoli per essere interrogato dai magistrati che da lui vogliono la conferma di quanto dichiarato da Luigi Marroni, amministratore delegato di Consip, e cioè che la soffiata sull’inchiesta è arrivata da alcuni soggetti: il comandante dell’Arma, Tullio Del Sette; il comandante dei carabinieri della Toscana, Emanuele Saltalamacchia, Lotti. E lui.
Vannoni è sottoposto a interrogatorio come persona informata sui fatti, non è indagato. Parla per oltre due ore e alle 15 è già a Roma. A Largo Chigi. Dice a verbale Lotti: il pomeriggio del 21, mentre “stavo rientrando in ufficio, ho trovato Vannoni, voleva parlarmi”. Vannoni, prosegue Lotti, “imbarazzato e con modi concitati, mi ha informato di essere stato sentito da Woodcock a Napoli e di avergli riferito di aver ricevuto da me informazioni riguardo l’esistenza di indagini su Consip; alle mie rimostranze circa la falsità di quanto affermato, lui ha ammesso di aver mentito e quando ho chiesto il perché si è scusato in modo imbarazzato, ottenendo una mia reazione stizzita, tanto da avergli detto ‘non ti do una testata per il rispetto del luogo nel quale siamo’, congedandolo”.
La reazione di Lotti, quel 21 dicembre, è più che giustificata. Stando a quanto riferisce, incontra dopo molti mesi una persona con la quale ha da sempre un profondo legame perché accomunati dalla fiducia di Renzi: sono due dei petali più antichi e solidi del Giglio Magico. Lo incontra per caso, su un treno che l’amico Filippo prende per raggiungere i pm di Napoli. Ma Vannoni non gli dice nulla. Non si confronta. Non si lascia sfuggire mezza parola sul perché di quella sua visita nel capoluogo campano.
Lotti, in pratica, racconta di un Giuda, cinico e spietato. Che solo al ritorno, dopo aver tradito, si ferma appositamente a Roma per implorare perdono. E lui, quel pomeriggio del 21, giustamente si arrabbia e lo congeda in maniera stizzita. Eppure si presenta ai pm, accompagnato dagli avvocati Franco Coppi ed Ester Molinaro, solo sei giorni dopo. E solamente dopo la pubblicazione da parte del Fatto della sua posizione di indagato e delle accuse che gli sono state rivolte da Marroni e Vannoni. Lo dice lui stesso a verbale: “Dalla lettura dei giornali e, segnatamente, per quanto pubblicato da il Fatto Quotidiano, ho appreso di presunte dichiarazioni in ordine a conversazioni che avrei intrattenuto con loro rese da Marroni e Vannoni”. Lotti si presenta per dire che è tutto falso. Che nulla sapeva dell’inchiesta Consip e che quindi nulla in merito avrebbe potuto riferire ad alcuno. Per poi aggiungere non solo che Vannoni il 21 dicembre, come detto, gli riferisce di averlo accusato mentendo ai pm, ma che a questa confessione avvenuta a Palazzo Chigi ha assistito anche una terza persona. Un testimone, quindi, che potrà confermare la sua versione. Perché è evidente che i magistrati ora dovranno mettere a confronto le dichiarazioni di Vannoni con quelle di Lotti. Uno dei due ha mentito. Il ministro fedelissimo da sempre di Renzi? O il presidente di Publiacqua, amico fidato dell’ex premier? E perché quest’ultimo avrebbe accusato Lotti? Lo stesso Lotti politicamente già indebolito dal passaggio dal vecchio al nuovo esecutivo, in cui si è ritrovato retrocesso a ministro dello Sport e sostituito a Palazzo Chigi da Maria Elena Boschi, con la quale, è ormai conclamato, da mesi non corrono buoni rapporti.
Ancora: perché il sindaco Dario Nardella, altro fedelissimo renziano, lascia Vannoni alla guida della controllata Publiacqua? È la guerra dei petali. La caduta del governo Renzi ha scatenato un conflitto nel Giglio Magico. Uno scontro questa volta non scandito da voci di palazzo o retroscena politici ma da dichiarazioni messe a verbale davanti ai magistrati di due procure: Napoli e Roma. Quindi con un peso specifico notevole. E conseguenze penali.
Uno scontro, fra l’altro, che vede contrapposte non due personalità marginali del potere renziano, bensì due pilastri storici dell’ascesa da Rignano a Roma dell’ex Rottamatore: Vannoni e Lotti. Certo, anche Marroni arriva da Firenze ed è ritenuto un renziano. Ma tra loro tre è il meno vicino al segretario del Pd. Molto meno. Il grado di confidenza e conoscenza è su piani ben distanti: conoscente lui, fratelli acquisiti gli altri. Che ora per difendersi arrivano ad accusarsi a vicenda. Fino a mentire. Spetterà ai magistrati scoprire anche questo: chi ha affermato il falso e perché.