Martedì 10 gennaio a Palazzo Madama, quando il ministro Poletti è arrivato per la sua striminzita informativa sui giovani all’estero, alcuni senatori antirenziani del Pd fotografavano così la drammatica situazione del loro partito, dando forma peraltro a una sorta di inconsapevole sillogismo. Prima immagine: “Il 4 dicembre il Paese ha rigettato il renzismo, questo è il vero punto che impedisce una discussione nel partito”. Seconda immagine: “Renzi è come quel pokerista che ha perso un piatto enorme e vuole subito un tavolo per rifarsi”. Domanda finale: “In queste condizioni com’è possibile andare al suicidio del voto anticipato?”.
Il gigantesco pantano che sta risucchiando Pd è direttamente proporzionale alla sindrome del bunker che ormai sta logorando l’ex premier rimasto segretario. Non una visione politica. Ma una visione del potere per il potere, al punto che scherzando e ridendo, ma fino a un certo punto, nei capannelli dem di Montecitorio qualcuno azzarda l’esigenza di “una perizia psichiatrica” per il segretario, sconquassato “dall’ossessione di tornare a Palazzo Chigi”.
Ecco perché Bersani sente aria di “Gentiloni stai sereno” ed ecco perché il Pd renziano ha completamente rimosso la montagna della catastrofe referendaria del 4 dicembre. Nessuna analisi elettorale, nessun approfondimento, per esempio, sul quarantenne votato dai vecchi e non dai giovani. Solo qualche vaga riflessione di superficie nella pallida assemblea del 18 dicembre. Nel frattempo il Pd continua a perdere appeal, voti e iscritti. Non solo. Il 13 gennaio il bersaniano Fornaro ha calcolato che oltre 100mila persone non hanno confermato la loro firma per il 2×1000 ai democratici, il 20 per cento in meno.
Al contrario, tra il Nazareno a Roma e l’esilio toscano di Pontassieve, si continuano a sviluppare tattiche di guerriglia per il voto anticipato, in attesa del nuovo giorno del giudizio della Corte costituzionale, stavolta sulla legge elettorale vigente per la sola Camera, il fatidico Italicum. La sentenza è prevista il 24 gennaio e tutto sembra immobile, o quasi, sul modello del surplace ciclistico.
In teoria, Renzi e i suoi predicano il maggioritario del Mattarellum ma il retropensiero, nemmeno tanto retro, è quello di precipitarsi alle urne con le due leggi corrette dalla Corte costituzionale: il Consultellum per il Senato (alias il Porcellum ripulito) e quel che resterà dell’Italicum per la Camera. Matteo Orfini, sempre più renziano, lo ha ribadito l’altra sera in tv, nonostante gli avvertimenti del Quirinale per fare una nuova legge in Parlamento.
È l’ansia del giocatore che subito vuole rifarsi, appunto. Ma con quale partito? Cinicamente sono in tanti, tra i dem, a pensare che “una sconfitta alle Politiche chiuderà per sempre il ciclo di Renzi”. Però riuscirà il Pd a sopravvivere all’ex Rottamatore? Nei suoi tre anni di segreteria, tolta la fiammata delle Europee (ma gli italiani ancora non conoscevano bene Renzi), il Pd ha accumulato disastri su disastri: le regionali del 2015, le amministrative dell’anno appena conclusosi. Questa urgenza renziana rischia di essere mortale per i democratici, senza dibattito e senza idee. Del resto, analizzare il renzismo farebbe male anche al governo Gentiloni.