“Anche questo treno l’ho fatto io: abbiamo modernizzato l’Italia”. Silvio Berlusconi non cambia mai. Ma tutti i torti non li ha: il suo governo diede il via libera all‘Alta velocità e fu lui a inaugurare il Frecciarossa sul primo Milano-Roma il 29 marzo 2009. Col berretto da capotreno trasformò l’occasione per dare spettacolo. Battute, gag e quell’“andate più piano” scandito ironicamente ai macchinisti superati i 300 chilometri orari. Poteva essere spensierato. All’epoca. Da quel marzo di otto anni fa è cambiato tutto. Fronte politico, aziendale, familiare, di salute. Condannato in via definitiva, decretato ineleggibile, divorziato a suon di milioni, costretto a cedere parte delle sue società, più volte ricoverato per diversi interventi, ultimo quello al cuore. Insomma: dovrebbe essere un uomo stanco e privo di entusiasmo, come raccontano i suoi avversari politici.
Invece, a vederlo, nulla sembra più falso. “L’è semper lù”, dice un milanese andandosene soddisfatto dopo aver scattato un “selfie col presidente” e telefonando alla moglie per comunicarle l’epocale evento. Un incontro fortuito. Inatteso. Incontro che avviene proprio sul Frecciarossa. Là dove non ti aspetti di trovarlo. O lo immagini blindato dalla scorta e inavvicinabile. Invece è lì, sempre a caccia di contatti umani per vincere la solitudine. La notizia, buona o cattiva che sia a seconda dei gusti, è che è vero: “l’è semper lù”.
Berlusconi da tempo ha lasciato aerei e auto blu, si muove tra Milano e Roma sui treni ad alta velocità. “In meno di tre ore arrivo da Roma a Milano e nel frattempo posso lavorare, discutere con i miei collaboratori o scambiare qualche parola con gli altri viaggiatori. È un piacere e il contatto con le persone è sempre importante”. Nel vagone ci sono una decina di persone. Lui gigioneggia. Racconta storielle, pettegolezzi, aneddoti. Si lascia fotografare. Canticchia divertito le ultime canzoncine su Matteo Renzi e Maria Elena Boschi che gli arrivano sul telefono. “Questa è sulle note di Pippo non lo sa”. Sembra in gran forma. Pronto magari anche a ricandidarsi premier, se – come lui continua a ripetere – la sentenza della Corte di Strasburgo gli restituirà lo status di eleggibile. Il centrodestra senza di lui ha perso la sua compattezza e veleggia diviso, lontanissimo dal Pd e dai 5 Stelle. Proviamo a chiederglielo, ma lui ha la fissa di Strasburgo. “La sentenza europea non riguarda un qualunque cittadino europeo, che comunque avrebbe diritto a ottenere giustizia in tempi accettabili”. La prende larga. “Dalla sentenza dipende non solo il giudizio sulla storia italiana degli ultimi anni, ma anche il futuro della democrazia in un importante Paese europeo come il nostro. Per questo i tempi della sentenza devono tener conto delle prossime scadenze elettorali”. Si ricandiderebbe o no? “Solo dopo una sentenza che cancelli la mia incandidabilità io potrei tornare ad essere il candidato alla Presidenza del Consiglio. Credo che il centrodestra con l’esperienza unita al necessario rinnovamento, con un programma serio e condiviso, sia l’unica possibilità per l’Italia di uscire davvero dalla crisi. Il Pd ha fallito e i 5Stelle sono un pericolo, non una soluzione”.
Lo prendiamo per un sì. Ed è facile che lo immagini anche Matteo Renzi. Il segretario del Pd ha una gran fretta di andare a votare, avrà mica paura del suo ritorno in campo? “‘A pensar male si fa peccato ma spesso ci si indovina’, diceva Andreotti, che però aveva una visione cinica della politica che io non riesco ad avere. Io mi ostino a credere nella buona fede delle persone”. Lei Renzi lo conosce bene, ormai… “E preferisco continuare a pensare che sia piuttosto ancora una volta vittima del suo carattere che spesso lo ha portato a scelte precipitose. Questo non ha fatto bene né a lui né all’Italia”. Lei di votare subito non ne ha nessuna voglia… “Una cosa dev’essere chiara: io credo che gli italiani, non solo Renzi, abbiano fretta di tornare alle urne, dopo quattro governi non eletti dal popolo. L’ultima volta che gli italiani hanno potuto indicare un presidente del Consiglio è stato nel 2008, con il governo Berlusconi. Lo so che formalmente la lettera della Costituzione non è stata violata, ma la sostanza e lo spirito? Anche da questo nasce la sfiducia nella politica”. Sfiducia di cui però si giova il Movimento 5 Stelle. Prospettiva che agghiaccia Berlusconi ben più della rivittoria di Renzi: “Si rischia di consegnare il Paese a Beppe Grillo”. E a consegnarlo è Renzi? Tra un selfie e una stretta di mano volante a qualche passeggero, Berlusconi prova a cambiare argomento. Non vuol parlare di Renzi, la rottura del patto del Nazareno gli brucia ancora: “Un errore esiziale di Renzi”. Così come la decisione sul referendum costituzionale. Due poli contro uno: “Non poteva vincere”.
Il treno è arrivato a Milano. E attorno a noi ci sono quattro persone che hanno atteso di salutare “il presidente”. C’è chi lo chiama così e parla di quanto grande fosse il suo Milan e chi gli chiede di riprendere in mano Forza Italia: “Torni presto, ci manca”. Lui sogghigna, ascolta e risponde a tutti. Di processi, indagini su Ruby e olgettine non parla. Neanche se i suoi tifosi lo spronano: “I giudici ancora non la lasciano in pace”. Lui evita, non si scaglia (più) contro le toghe e il palazzo di Giustizia di Milano. Allarga le braccia, sorride e guarda in alto. Verso il suo unico pallino: Strasburgo.