I politici non dovrebbero mai parlare dei giornalisti, perché nelle democrazie sono i giornalisti che parlano dei politici. Quindi, come abbiamo scritto fin da quando Beppe Grillo scacciava i giornalisti da sotto il suo palco nel 2013, i 5Stelle sbagliano di grosso a scatenare campagne contro stampa e tv. Quanto all’esposto di Luigi Di Maio all’Ordine dei Giornalisti contro alcuni cronisti accusati di scrivere il falso, non abbiamo nulla da aggiungere a quanto scrive a pag. 5 Antonio Padellaro, salvo una cosa: è bizzarro che un esponente dei 5Stelle si rivolga a un Ordine professionale che il suo movimento chiede dal 2008 di abolire. Il che non vuol dire che le migliaia di articoli di questi mesi sulla giunta Raggi e dintorni siano purissima acqua di fonte: alcuni svelavano verità che il M5S non voleva vedere, altri anticipavano o riferivano indagini giudiziarie, ma parecchi inventavano notizie diffamatorie. Per queste ultime, più che gli esposti a un ente inutile come l’Ordine, ogni cittadino –politici compresi – ha due armi di difesa più che legittime: la querela per diffamazione e la causa civile per danni.
Quando un politico molto noto, con un largo seguito popolare, poco importa se di maggioranza o di opposizione, addita al pubblico ludibrio un giornalista con nome e cognome, mette a repentaglio la sua sicurezza: salvo rare eccezioni, i cronisti non hanno scorte né tutele. Se qualche testa calda li incontra e li riconosce, le cose possono finire male. Nel 2008 ebbi un durissimo contenzioso con un collega, Giuseppe D’Avanzo, che su Repubblica aveva riportato voci false e calunniose su un imprenditore arrestato per mafia (mai visto né sentito in vita mia) che avrebbe pagato le mie vacanze in Sicilia del 2001 e del 2002. Per fortuna riuscii a rintracciare gli assegni e i tabulati del bancomat con cui avevo pagato le mie ferie di 6 e 7 anni prima: li pubblicai e riuscii quasi subito a difendere la mia reputazione, anche se poi per anni, appena parlavo di legalità in tv, c’era sempre qualche figuro che riprendeva la calunnia, come se non fosse stata smentita. Nel dicembre 2009, quando B. fu ferito da un folle con una statuetta, Alessandro Sallusti su Rai1 e il forzista Fabrizio Cicchitto alla Camera mi additarono come “mandante morale” dell’attentato e l’ex piduista mi diede pure del “terrorista mediatico”. Roberto Saviano mi chiamò per dirmi che dovevo chiedere la scorta: lo ringraziai, ma preferii evitare. Giuseppe D’Avanzo mi difese su Repubblica: lo ringraziai via email, pur ribadendogli il mio sconcerto per l’attacco a freddo che ancora mi bruciava.
Mi rispose così: “Caro Marco, spero che un giorno, senza pregiudizi, riusciremo anche a discutere di quel che oggi ti appare ingiusto e incomprensibile. L’urgenza oggi è un’altra: porti al riparo dalle rappresaglie cui qualche irresponsabile o tuo lucidissimo nemico vuole esporti. Guardati le spalle, sii imprevedibile e, se senti intorno a te un’aria peggiore di quella di oggi, mandami un segnale: a volte anche un pezzullo può essere utile. Peppe”. Per fortuna la cosa non ebbe seguito (nemmeno i berlusconiani più fanatici prendevano sul serio Sallusti e Cicchitto) e la cosa finì lì. Fu persino una mezza fortuna, perché mi aveva dato l’occasione di far pace con un collega che stimavo e che purtroppo sarebbe morto all’improvviso pochi mesi dopo.
Ora però, a proposito dei rapporti sempre più incandescenti fra giornalisti e politici, sarebbe utile evitare le ipocrisie da vergini violate. Quando i direttori del Corriere e di Repubblica accusano i 5Stelle di minacciare la libertà d’informazione (o quel che ne resta) con “liste di proscrizione” e “attacchi feroci a chi critica”, fanno il loro mestiere: difendono i rispettivi cronisti. Ma i politici di destra e del Pd folgorati da improvviso amore per la stampa “scomoda” non ci facciano ridere. Alle ultime due Leopolde non un politico di opposizione, ma il presidente del Consiglio Renzi mise alla gogna alcuni titoli di giornali (soprattutto del Fatto) e il sottoscritto, e nessuno disse nulla. Aggredì per mesi Giannini e Floris, rei di invitare anche i 5Stelle (rei a loro volta di fare discrete figure), poi li affidò alle cure dei suoi dobermann, infine riuscì a far cacciare Giannini e chiudere Ballarò dal vertice Rai da lui nominato. E tutti zitti. Le sue Alessie, Rotta & Morani, attaccarono la direttrice del Tg3 Bianca Berlinguer, colpevole di non aver celebrato a dovere la finta inaugurazione della Salerno-Reggio, e subito dopo il Tg3 cambiò direttore. E nessuno fiatò, come sulla renzizzazione delle tre reti e dei tre tg Rai, mai vista nemmeno ai tempi della più feroce berlusconizzazione.
Il sottosegretario alla Giustizia Gennaro Migliore mi ha trascinato davanti all’Ordine per aver osato criticare la sua proposta di addolcire il 41-bis ai mafiosi. E, ancora una volta, bocche cucite. Se poi gli italiani sanno tutto delle nomine della Raggi e nulla della più grande tangente della storia (quella da 1 miliardo dell’Eni in Nigeria) e del più grande appalto truccato d’Europa (quello da 2,7 miliardi assegnato ad Alfredo Romeo da Consip, i cui vertici dicono di essere stati avvisati su indagini e microspie da Lotti e Del Sette), la nostra luminosa categoria dovrebbe porsi qualche domanda. Secondo voi oggi avrà più spazio sui media l’interrogatorio di Salvatore Romeo, ex-segretario della Raggi indagato per la sua nomina già revocata, o le perquisizioni ad Alfredo Romeo, indagato per corruzione sul più grande appalto d’Europa e amico del Giglio Magico? “La guerra – diceva Clemenceau – è cosa troppo seria per lasciarla in mano ai generali”. Anche la libertà d’informazione è cosa troppo seria per lasciarla in mano ai politici. E pure ai giornalisti.