L’hiv? Per lui è “principalmente un problema di come farlo sapere agli altri, a chi dirlo oppure no”. Perché la sua vita di dodicenne è normale, va a scuola, in piscina, a teatro. Gli piacciono J-Ax, Pif, il rap. E no, la sua mente non è occupata sempre dalla malattia, ma anche da domande di bambino della sua età: “Che si mangia a mensa? Chi ci sarà al parchetto per giocare a calcio? Quest’anno il Milan ce la farà ad andare in coppa?”.
Sono gli altri, quelli “sani”, che impediscono a Giovanni F., nome di fantasia, di fare una vita come tutti. Le insegnanti ignare perché non si sa come reagirebbero. Gli amici, anche: quei pochi che lo hanno saputo sono spariti, così come i figli del compagno della madre, per lui quasi fratelli, fino a quando la madre ha scoperto la sua malattia e gli ha proibito di vedersi. Tutto questo Giovanni lo narra in prima persona, nel libro, scritto con Francesco Casolo, “Se hai sofferto puoi capire. Storia mia e della malattia che non posso svelare a nessuno” (Chiare Lettere). Lo spunto del romanzo viene dal blog autogestito da ragazzi affetti da hiv Giù la maschera, attivo sul sito di Smemoranda e seguito da un team di esperti dell’Ospedale Sacco di Milano, anche se alla fine l’autore sarà solo Giovanni.
Se hai sofferto puoi capire serve soprattutto a raccontare, come spiega la madre di Giovanni – che al telefono rivela quanto vorrebbe “prendere il libro, portarlo al mio capo e dirgli, eccolo, questa sono io”-, la contraddizione “tra il fatto che che oggi una persona con hiv può condurre una vita longeva, sana, asintomatica, con gravidanze sicure; e la discriminazione verso i sieropositivi: identica, questa, a trent’anni fa, anzi aggravata dalle storie sui malati untori enfatizzate dai media”. Per questo, quando Giovanni viene a sapere che ha l’hiv – è l’apertura di questo romanzo davvero allegro, dove le persone malate hanno un’incredibile vitalità, lavorano, fanno l’amore, contro ogni luogo comune – gli amici intorno, in particolare André, un ucraino che compone struggenti strofe rap, gli spiegano la “teoria del radar”: quello strumento psicologico che ogni sieropositivo deve affinare per riuscire a capire a chi può dire il suo segreto e a chi no. Ora anche Giovanni è in quello che lui chiama il “Fight club”. Sa che presto si troverà di fronte ai dilemmi dei grandi, come quello, difficile e non scontato, di rivelare o meno della malattia a una ragazza con cui si vuole fare l’amore (“Se usi protezione e hai un livello virale basso, perché rovinare tutto?”, si chiede una ragazza nel libro).
Nella sua mente, però, il virus è ancora un re tutto nero che ride seduto su un trono. Per fortuna ci sono loro, le medicine, visualizzate come tante lance bianche. Giovanni sa che l’importante è prenderle, e questo gli basta. Tutto il resto ce lo mettono gli altri, quelli che hanno paura della sua malattia. Magari senza saperne nulla e senza neanche fare alcuna prevenzione.