Era il 22 marzo 2014. L’appuntamento annuale di Libera, l’associazione di don Luigi Ciotti contro le mafie, sbarcava a Latina. Terra difficile, incastonata tra Caserta e Roma, asse dove tutte le mafie hanno trovato da decenni una seconda patria. Una città che tanti chiamano la “lavatrice” della capitale, il luogo giusto dove ripulire soldi e carriere per le mafie. Era un simbolo quella sfilata di migliaia di persone arrivate da tutta Italia, che sanciva il rilancio di Libera nel sud del Lazio, grazie al protagonismo di tantissimi volontari, in gran parte ragazzi.
Oggi quella parabola sembra affievolirsi, diventando la coda di un momento di difficoltà dell’associazione fondata da don Ciotti, che – nel 2015 – si era giù trovata al centro di una dolorosa bufera, con l’addio di Franco La Torre, figlio di Pio, il parlamentare comunista siciliano assassinato da Cosa nostra. I presidi di Latina, Cisterna, Anzio e Nettuno hanno ufficialmente lasciato la casa madre, aprendo un cammino autonomo, con la nuova sigla di Reti di giustizia. “In questo ultimo periodo i rapporti tra la dirigenza dell’associazione e gli iscritti di questi territori si sono profondamente deteriorati – si legge in un comunicato stampa firmato dai presidi che facevano riferimento a Libera nel sud del Lazio – a fronte di una linea di chiusura verso il nostro territorio non motivata e delegittimando il lavoro svolto da tutti noi”. Una scelta che viene definita “molto sofferta, perché continuiamo a riconoscerci in tutti i principi che Libera ha proposto e portato avanti dalla sua fondazione fino al passato recente”, spiegano i volontari.
I gruppi – che riuniscono poco più di una sessantina di attivisti, ora usciti dall’associazione di don Ciotti – evitano lo scontro: “Non vogliamo fare polemiche – spiega Fabrizio Marras, già referente per il Lazio di Libera e ora in prima fila con il gruppo di fuoriusciti – non siamo antagonisti o in contrapposizione. Preferiamo non commentare in questo momento, continueremo la nostra attività antimafia sul territorio”.
Più chiaro e diretto è il documento che è stato diffuso martedì sera: “La centralizzazione autoritaria delle decisioni, l’incapacità di riconoscere gli errori, il permettere alla dicotomia fedele/infedele (e infedele è chi non la pensa come l’Ufficio di presidenza o osa porre problemi o obiezioni) di predominare dentro l’associazione, il ricondurre tutti i problemi che nascono ad aspetti personali e non politici, nascondendo il tutto dietro un generico e velleitario ‘va tutto bene’ o un altrettanto generico ‘vogliamoci bene’ generalizzato, sono alcuni dei sintomi di questa deriva dell’associazione”. Nell’area del sud pontino i volontari delle città di Formia e Gaeta – luoghi con alta densità mafiosa – hanno deciso di rimanere all’interno dell’associazione di don Ciotti, mantenendo così la presenza, almeno parziale, di Libera nella provincia.
“Ancora una volta siamo davanti alla manipolazione della verità – spiega in un comunicato Libera, replicando al documento dei presidi che hanno abbandonato l’associazione – Una verità che deve essere ripristinata per il rispetto delle tante realtà associative, dei tanti giovani e volontari che compongono e fanno Libera ogni giorno nel paese”.
L’associazione di don Ciotti assicura di non aver mai allentato “in questi anni l’attenzione al territorio della provincia di Latina e continuerà a farlo con determinazione e responsabilità garantendo sempre il supporto alle realtà sociali impegnate” assicurando di voler mantenere in ogni caso una presenza nell’area a sud di Roma.