Mesi e mesi a parlare di codici etici, a discettare di responsabilità politiche e morali da non confondere con quelle penali, a chiedere ai nemici di giustificarsi per un paio di nomine, di polizze e di sms (peraltro tagliuzzati), poi promuovono Micaela Campana nella Commissione Congresso del Pd, appena costituita dal presidente Matteo Orfini per fissare le regole delle prossime primarie del partito. Micaela Campana, chi era costei? La deputata Pd, responsabile Welfare della segreteria Renzi, che ha collezionato 39 “non ricordo” al processo Mafia Capitale durante la sua cosiddetta testimonianza in aula. E che, alla fine del dibattimento a carico di Carminati, Buzzi & C., verrà indagata per falsa testimonianza (la strana tempistica è prevista dalla sciagurata “riforma” di quel reato varata nel 1995 per abolire l’arresto in flagranza voluto da Giovanni Falcone), visto che la Procura ha chiesto al Tribunale di trasmetterle gli atti della scena muta.
Ma oggi siamo buoni e vogliamo far finta che sul capo della Campana non gravi quella spada di Damocle penale. Parliamo di fatti e delle questioni etico-politiche conseguenti. E partiamo dal 2 ottobre 2016, quando l’allora premier Matteo Renzi, alla scuola di formazione del Pd, se ne esce con questa sparata: “Pensate che avrebbero detto se Paola Muraro fosse del Pd. In fondo la svolta della Raggi è dare la gestione dei rifiuti a una donna collegata totalmente a Mafia Capitale, a quelli che c’erano prima. La doppia morale dei 5 Stelle fa ridere i polli”.
È appena uscita la notizia di una telefonata intercettata anni fa tra la futura assessora della giunta Raggi e Salvatore Buzzi, a proposito di certe carte mancanti all’offerta presentata in una gara d’appalto che una coop di Buzzi avrebbe poi perso. Nessun reato, nessun favoritismo e nessuno scandalo: una storia di ordinaria burocrazia, talmente innocente che la Muraro non è stata mai sentita, neppure come teste, dai pm di Mafia Capitale. Ma tanto basta a Renzi per associare “totalmente” la Muraro a Mafia Capitale (beccandosi una querela per diffamazione). Passano due settimane e il 17 ottobre Micaela Campana viene sentita al processo Mafia Capitale. Deve spiegare perché al telefono chiamava Buzzi “grande capo”. Perché gli chiese di finanziare le cene elettorali di Renzi, fornendogli via sms il codice Iban del Pd (dopodiché Buzzi bonifica 15 mila euro e avverte la Micaela). Perché gli chiese soldi anche per suo marito Daniele Ozzimo (poi condannato a 2 anni e 2 mesi per corruzione in Mafia Capitale).
Perché fece da tramite col viceministro dell’Interno Filippo Bubbico (Pd) per sbloccare in Prefettura un appalto vinto dalla coop buzziana Enriches e ostacolato da una ditta rivale. E poi una serie di altri contatti e richieste al limite dello stalking, roba da far sbottare Buzzi con un collaboratore della deputata: “È una mucca che, per essere munta, deve mangiare”. Tipo quando la Campana – annota il Ros – “chiama Buzzi e riferisce che a Colli Aniene devono sgomberare un appartamento da alcuni immigrati” e Buzzi si mette a disposizione del di lei cognato, consigliere Pd al IV Municipio. O quando un uomo di Buzzi si sente chiedere aiuto dallo staff della Campana per un trasloco e Buzzi gli dice di lasciar perdere perché quegli scrocconi “non vogliono pagare”. O quando Buzzi manda uno dei suoi a incontrare la Campana che “sicuramente vorrà dargli qualche nominativo da assumere”. O quando le chiede di presentare un’interrogazione parlamentare, peraltro senza esito. A ogni episodio che il pm Luca Tescaroli le rammenta, la Campana risponde “non ricordo”. Anche a proposito della gara sbloccata in Prefettura grazie alla sua intercessione presso il viceministro: ora non ricorda, ma all’epoca dei fatti schioccava a Buzzi un bel “Bacio grande capo!”.
Per la Procura tutti questi fatti (ma non l’improvvisa perdita di memoria) sono penalmente irrilevanti. Ma sono avvenuti e pongono al Pd una gigantesca questione politica e morale. Invece Renzi, Orfini & C. lasciano l’amicona di Buzzi in Direzione e ora la promuovono in Commissione Congresso. Del resto si tengono pure al governo il sottosegretario all’Agricoltura Giuseppe Castiglione (Ncd), addirittura imputato per turbativa d’asta, falso, abuso e corruzione elettorale in un altro filone di Mafia Capitale, quello sulla gara truccata del Cara di Mineo. E non hanno mai restituito i 15 mila euro versati da Buzzi, ora imputato per mafia e corruzione, alla cena di finanziamento del novembre 2014 (l’ha fatto solo la fondazione renziana Open per altri 5 mila euro). Nessun imbarazzo neppure per le intercettazioni in cui il presunto boss di Mafia Capitale aderiva entusiasta al renzismo: “Siamo diventati tutti renziani… a me me piace Matteo Renzi, che cazzo vuoi?… Er problema è un altro, er problema è che non ce stamo più noi… una cosa incredibile: Grillo è riuscito a distruggere il Pd”. Il che non gli impediva una certa trasversalità nelle donazioni: “Noi abbiamo finanziato legalmente Rutelli, Veltroni, Alemanno, Marino, Zingaretti, Badaloni, Marrazzo, tutti praticamente, anche Renzi: tutti contributi dichiarati in bilancio”. Sette nomi su 8 sono del Pd, uno è di destra, mancano solo i 5Stelle. Ce n’è abbastanza per ribaltare la frase di Renzi: “Pensate che avrebbero detto se Micaela Campana fosse dei 5Stelle.
In fondo la svolta di Renzi è mettere in Commissione Congresso una donna collegata totalmente a Mafia Capitale, a quelli che c’erano prima. La doppia morale del Pd fa ridere i polli”. Questi, come diceva Leo Longanesi, credono che la morale sia la conclusione delle favole.