“Peccato che non farò in tempo a leggere il tuo articolo”, Gianni non può più parlare e allora lo scrive sul taccuino del cronista. Sono le 14 di ieri. Mentre voi leggete queste parole lui non ci sarà più, perché stamattina presto entrerà nella clinica di Pfaffikon. E dopo gli ultimi controlli, in pochi minuti scivolerà nella morte. Leggi il messaggio di Gianni, lo guardi negli occhi e ti manca il fiato: domani non ci sarà più. Eppure adesso è seduto al tavolo con te, insieme con la moglie Emanuela e Marta, la loro unica figlia. A guardarli sembrano una famiglia come tante, come quelle che sono sedute intorno. Ma per Gianni (64 anni, pensionato Telecom), Emanuela e Marta forse è l’ultimo pasto insieme. Dopo centinaia, migliaia di pranzi e cene condivisi nella loro casa di Venezia. Dopo una vita. “Chi l’avrebbe detto che sarebbe finito tutto qui, in questo albergo della periferia di Zurigo, in mezzo ai capannoni…”, scrive Gianni cercando di mimare l’ironia sollevando le sopracciglia nere e folte. È l’unica parte del viso risparmiata dal tumore che gli ha consumato la bocca: “Potrei vivere ancora mesi, forse anni, ma non riesco a mangiare, a parlare, a dormire. Provo dolori lancinanti. È una sofferenza senza senso”.
Adesso tocca a Emanuela: “Parlo perché mi sembra ingiusto, crudele che un uomo come Gianni debba lasciare casa sua, la sua città e venire all’estero perché il nostro Paese non lo vuole aiutare a…” e la voce di Emanuela, sottile come il corpo, si ferma.
E chissà se sono il chiasso intorno, la musica come in un qualsiasi ristorante, i volti paonazzi degli altri clienti ai tavoli – ma saranno anche loro in attesa dell’eutanasia? Quanti verranno dall’Italia? – o quegli assurdi coniglietti di cioccolato alla parete. Ma trovi il coraggio per le domande più grandi: voi avete fede? “No”, ti rispondono tutti e tre. E la cameriera interrompe: “Desiderate?”. Sì, mangiamo. Mentre Gianni racconta com’è nata la decisione: “Sono sempre stato un salutista. Vegano, addirittura”, sbuffa come per sorridere. “Poi la diagnosi del tumore, la prima operazione, le cure. Quindi la ricaduta, altre terapie, altra operazione. E ho detto basta!”.
Devi fare uno sforzo, è un istinto, per non cercare di trattenerlo. È ancora vivo, si alza, può uscire con Emanuela e Marta per camminare fino al bosco che già profuma.
“Basta! Mi sono informato, ho mandato le cartelle cliniche. E alla fine, dopo mesi di attesa, mi hanno convocato. Siamo partiti oggi all’alba in ambulanza e dopo sette ore ero qui”, racconta Gianni. Al mattino la prima visita in albergo. Alla sera la seconda. Ma come… passerà l’ultimo giorno della sua vita? Questo pranzo, tutti insieme. Poi in camera per riposarsi, per cercare di dormire anche se sono le ultimissime ore – venti al massimo – che hai a disposizione per guardare, respirare, parlare. Ma Gianni ed Emanuela, dopo 40 anni di matrimonio non hanno bisogno di aggiungere altro. Basta uno sguardo per ricordare, confermare. Sì, nulla è andato perso. E anche Marta ormai ha accettato. “Certo ogni tanto ci facciamo dei pianti…”, si lascia scappare Emanuela. Poi guarda il marito temendo di ferirlo: “Anche lui all’inizio, ma è una roccia”. Ormai Gianni ha deciso, lo vedi nell’espressione remota degli occhi: “È giusto così. La settimana scorsa sono venuti tutti gli amici a salutarmi”. È riuscito perfino a scherzare con l’amica che ha fede: “Martedì sera ti telefono e ti dico se c’è il Paradiso”.
Il pranzo è finito. Ci si abbraccia. Poi attraverso la grande vetrata li vedi tutti e tre che camminano verso la clinica dove stamattina tutto avverrà. Basta attraversare la strada e prendere la prima a destra. È come se Gianni studiasse il percorso: gli ultimi trecento passi.