La questione, più che politica, si fa psichiatrica e dunque è bene avvicinarsi guardinghi, usando le dovute cautele. Si parla qui dell’antica questione di come scendere dal carro del vincitore, se sia meglio farlo sgomitando, oppure se sia preferibile darsi alla fuga senza clamori, con modi liftati, ostentando la pacata ragionevolezza dei delusi. La faccenda è complicata dal fatto che il vincitore alla guida del suddetto carro non è vincitore per niente e, a parte una tornata elettorale pagata in contanti, ha perso sempre, e quasi ovunque. Ma insomma, le hostess che indicano nervosamente le uscite di sicurezza per chi vuole abbandonare il renzismo si sbracciano da tempo, basti ricordare i candidati sindaci Pd che pregavano Renzi di non andare a fare campagna elettorale per loro (Fassino a Torino), o che proclamavano gonfiando il petto “non sono renziano” (Sala a Milano).
Va bene, la faccenda del potente che perde aderenza e slitta di brutto quando non è più tanto potente è vecchia di secoli e millenni. Allo stesso tempo, è dovuta qualche prudenza. E se poi l’ex presunto vincitore perdente dovesse rivincere? Staccarsi dalla truppa senza farsi notare non basta, bisogna uscire dai ranghi pronti a ritornarci come se niente fosse se mai dovesse passare la tempesta e questo un po’ ridicolo tramonto renzista dovesse trasformarsi in una nuova alba radiosa. Sognare non costa niente.
Anche qui, diverse scuole di pensiero. La prima è giocare la carta del complottone, che è sempre buona e può attecchire presso le anime semplici. In questo caso la storiella è: ecco, Matteo voleva scardinare i vecchi poteri incrostati e ne ha pagato il fio, schiacciato dalla resistenza del vecchio (che sarebbe per esempio la Costituzione) contro il nuovo (che sarebbe nel caso una Boschi, non ridete). È una tesi suggestiva, che rispolvera nuove parole nella prosa social dei troll irriducibili: parole come “restaurazione”, “tornare indietro”, “vince la conservazione”. Cioè – traduco in italiano – era arrivato il rivoluzionario con il suo direttorio made in Tuscany, ma poi ecco Bersani e i poteri forti che fanno il Congresso di Vienna e ripristinano l’ancien régime dei baffi di D’Alema. Una tesi che fa acqua da tutte le parti e infatti viene spesso messa lì nelle discussioni come senza parere, in inciso, tra parentesi, appoggiata con nonchalance. È una modalità di discesa dal carro che somiglia al vecchio “ti lascio perché ti amo troppo” a cui è vietato credere, almeno dopo la quinta elementare.
Ancor più divertente l’altra teoria, quella della separazione per motivi caratteriali. Tutto era bene, tutto era bello, ma lui, il blogger di Rignano, è stato arrogante, antipatico, un po’ supponente. Insomma se ne parla come di quei grandissimi calciatori un po’ matti e accecati dall’ego che mandano affanculo il mister, litigano coi compagni di squadra e finiscono in panchina. È una tesi molto comoda, che permette di non dissociarsi politicamente, ma di dare tutta la colpa al cattivo carattere, e lascia intendere la pronta disponibilità a risalire sul carro, se soltanto il ragazzo si darà una regolata.
Terza scuola di pensiero, quella del renzismo critico, cioè dei passeggeri del carro che dicono di non essere mai stati del tutto d’accordo. Il vecchio caro “io l’avevo detto” pronunciato da chi non aveva detto proprio niente è sempre disarmante, lascia senza parole. Per cui si consiglia, a questi ultimi che scendono dal carro fingendosi passeggeri casuali, di munirsi di pezze d’appoggio. Un tweet del 2014, un post del 2015, una dichiarazione critica di quando il re sedeva a Versailles osannato, temuto e riverito sarebbe utile. Insomma, chi dice “io l’avevo detto” esibisca qualche prova che l’aveva detto davvero, per un minimo sindacale di decenza.