Scampia per Napoli è un po’ come quel parente di cui ci si vergogna a parlare in pubblico. Magari si fa il suo nome, ma per il resto si allude, si ammicca. Un’enorme scritta marmorizzata stile Hollywood (“Scampia”) ti accoglie all’ingresso della stazione della metropolitana, ma la fermata si chiama “Piscinola-Secondigliano” e chissà perché. A dire il vero Piscinola-Secondigliano non è nemmeno una fermata della metropolitana. O meglio, non è solo quella. È una stazione “Felimetro”, metropolitana felice. Anzi, Felice, con la maiuscola, perché il diluvio di colori che accoglie i passeggeri in uscita è frutto dell’immaginazione di Felice Pignataro, pittore e molto altro, l’uomo che da Bari si trasferì a Scampia nel 1972, quando le stalagtiti di cemento armato dei palazzi di questa piana che guarda il Vesuvio da lontano piovevano ancora dal cielo per crescere (male) sulla terra. Pignataro portò il colore tra il grigio dei condomini e s’inventò il carnevale di Scampia di cui si appena conclusa la 35esima edizione.
Il suo Sole felice e le riproduzioni dei suoi murales sono la prima tappa di questo Scampia trip tour, una strana idea di Ciro Corona e Daniele Sanzone, ma che viene da lontano: “Scampia – dice Daniele – è il quartiere più raccontato d’Europa, ma in questo racconto noi non ci riconosciamo. E allora ci siamo inventati questo “trip tour”, che prima è stato un documentario, poi un libro, poi un disco (Daniele è il cantante della band ’A67, oltre che collaboratore de Il Fatto Quotidiano, ndr) e ora diventa un percorso in carne ed ossa. Chi verrà a Scampia e vorrà scoprire un posto diverso da quello trasfigurato dai media, troverà ad aspettarlo una navetta e un narratore che li porterà in giro”.
Scampia pensavo peggio dunque, parafrasando il Nanni Moretti a Spinaceto di Caro Diario? “Non esattamente – risponde Ciro –. Il fatto, tuttavia, è che Gomorra non esiste più. O meglio, si è spostata. A Caivano, a Melito e altrove. Così abbiamo deciso di creare una storia dove una storia non c’era”. Ecco. La storia. Meglio non averla in testa, altrimenti si rischia l’approccio safari. Che sarebbe deludente, perché Scampia non è molto più brutta di tante altre periferie industriali d’Europa. E come molte di queste, non ha un centro, è una sequenza continua di strade e palazzi che sembrano quinte scrostate di un teatro di posa, con una pizzeria o una bottega qua e là. E migliaia di panni stesi, ovunque, perché le quinte teatrali, evidentemente, non prevedono i cortili.
La seconda tappa dello Scampia trip tour è il suo centro, là dove è parcheggiata la navetta donata dai Lions di Napoli e dall’areoporto di Capodichino. Oggi è la sede dell’officina delle culture, ma una volta era l’istituto professionale dove si sono diplomati Ciro e Daniele. Era, perché ha smesso di essere una scuola undici anni fa: “Subito dopo la faida del 2004-2005 – racconta Ciro – qui crollarono le iscrizioni e l’istituto fu chiuso”. Davanti alla scuola, di fronte a una di quelle brutte chiese postconciliari, che forse troveranno ancora posto in una rivista di architettura ma mai su una cartolina, c’è una piccola piazza con un paio di canestri disastrati: “Quella – indica Ciro – era la piazza di spaccio di Gomorra. E questa – rivolto alla scuola – era diventato il bed and breakfast della Camorra. La droga si vendeva per strada, i tossici senza casa potevano ‘accomodarsi’ qua, tra le aule. Lo hanno fatto per anni, fino a che non abbiamo avuto la possibilità di recuperare l’edificio”.
La bonifica è durata due anni (“dopo cinque di lotta per l’affidamento”) per smaltire le siringhe sono stati necessari 45 barili, per le masserizie varie (alcune delle quali, pallottole comprese, recuperate e trasformati in deliziosi murales al piano terra) una dozzina di tir: “Abbiamo delle foto – ancora Ciro – ma è meglio non esporle. Qui vivevano ammassati senza acqua né bagni. Vi lascio immaginare”. Ora, là dove c’erano secchi di escrementi e tappeti di siringhe, ci sono laboratori di musica, sale di registrazione, una palestra (“Tutte le mattine 80 mamme a fare pilates”) e un ostello per minori in affido. E continuano i lavori: “Abbiamo raccolto 300 mila euro di sponsor privati. Ma ora siamo in attesa del rinnovo dell’assegnazione da parte del comune, altrimenti addio soldi”).
Da qui, dicevamo, partirà il tour. Un’iniziativa per i turisti, per i napoletani (“Qui chi viene da altri quartieri dice ‘Andiamo a Scampia’, come se fosse un’altra città”) ma soprattutto per scuotere la gente del quartiere, perché le buone storie non mancano. C’è quella di Chikù, un ristorante “partenopeo-balcanico” che coniuga cucina napoletana e rom: “È l’unico ristorante di Scampia, ma ci viene gente solo da fuori”. È all’interno della villa comunale, un palazzone stile sovietico costruito a blocchi di tufo. È ora di pranzo, si montano le telecamere di sorveglianza, il centro culturale ha subito due strane incursioni notturne. Emma e Biagio, i gestori, sono preoccupati: “Hanno rubato documenti e vandalizzato la cucina, avevano i guanti. Potrebbero essere professionisti”. O forse solo ragazzi annoiati: “Forse – racconta Emma – qui non c’è nulla da fare, dopo le 19 è un deserto. È vero che Gomorra non c’è più, ma qui si percepisce un disagio crescente”.
Ma soprattutto c’è la storia di quello che se Scampia fosse il Rione Sanità sarebbe il sindaco: Giovanni Maddaloni, padre dell’olimpionico di judo Pino, un vulcano in perenne attività all’interno della sua palestra. Non fai in tempo a varcare la soglia che Giovanni è già in scena. Accanto a lui un ragazzo regge una busta della spesa: “Lui si è fatto nove anni di carcere, poi ha lavorato qui ma ora non posso più pagarlo. Così gli do un po’ di salsa e un po’ di pasta da portare a casa”. Un altro si avvicina, Giovanni fa un cenno, il ragazzo si apposta fuori “a guardare le macchine”. “Lo stesso discorso vale per lui – ancora Giuseppe – è un ex detenuto e non posso più tenerlo. Gli do 5 euro ogni giorno. Capite che devo fare l’elemosina? Un mondo di pazzi”. Il terzo è un ragazzino: “Quando ha lasciato la scuola il preside ha fatto festa – dice il maestro – ora qui ha trovato il modo di fare qualcosa”. Ecco, una visita al “clan Maddaloni” vale da solo il prezzo dello Scampia Trip Tour. Ah, poi ci sono le vele. Le famosissime vele. Ma quelle le conoscono tutti.