La riforma penale appena approvata al Senato, dopo ben 2 anni dal testo licenziato dalla Camera, deve tornare in Commissione Giustizia, a Montecitorio per alcune modifiche tra le quali quella sulla prescrizione (blocco dopo il primo grado ma Appello e Cassazione devono celebrarsi entro 18 mesi ciascuno, prima erano 2 anni più uno). L’Associazione nazionale dei magistrati, contraria al testo, il primo aprile si riunirà in vista del ritorno in Commissione. Tra i punti più critici, secondo l’Anm, ce n’è uno sostanzialmente sconosciuto ai non addetti ai lavori ma che può paralizzare i processi ancora di più di quanto lo siano adesso. Si tratta dell’avocazione dei fascicoli da parte del procuratore generale se i pm non chiedono, entro 3 mesi dalla fine dell’indagine, il rinvio a giudizio o l’archiviazione. Francesco Minisci, segretario dell’Anm e pm della procura di Roma, spiega le conseguenze di questa norma: “Migliaia di processi penali passeranno dalle procure alle procure generali. Per capirci, facciamo l’esempio della procura di Roma dove lavoro. Siamo 90 pm, 9 procuratori aggiunti e il procuratore. Con questa nuova norma il lavoro che non riescono a fare 100 magistrati, dovranno farlo 23 magistrati della procura generale. È evidente che si creerà un imbuto presso le procure generali e i processi andranno tutti in prescrizione”.
Qual è, dunque, la logica del legislatore?
Non lo so. Io posso parlare del nostro obiettivo: accelerare i processi. E abbiamo delle proposte che derivano dall’esperienza sul campo: depenalizzazione di reati minori che affollano le scrivanie dei magistrati e sono destinati alla prescrizione. Notifiche elettroniche: nell’era Internet ancora facciamo le notifiche a mano agli imputati e agli indagati, anche per il rinvio di un’udienza. Perché dopo la nomina del difensore non vengono fatte solo all’avvocato, via email? Tutto questo tempo lo regaliamo alla prescrizione. Abbiamo anche una norma che prevede un nuovo inizio del processo in caso di pensionamento o trasferimento di un magistrato, eccetto per i processi di mafia o di pedopornografia. Ma perché non ampliamo la rosa dei reati, come per esempio la corruzione, per i quali il processo non deve ripartire da zero? Sono modifiche che non costerebbero un euro allo Stato e snellirebbero i tempi processuali. C’è anche un altro tema su cui dovremmo confrontarci senza tabù: il divieto di reformatio in peius, cioè di aumentare la pena in appello, che fa sì che tutti i condannati di primo grado presentino impugnazione. A Roma pendono in appello 50mila processi e sono destinati alla prescrizione. Una sconfitta per la Giustizia.
È stato modificato anche il tetto delle spese per le intercettazioni. Cosa ne pensa?
Ben vengano le iniziative sul risparmio, purché non incidano sull’efficacia dello strumento per condurre al meglio un’indagine.
Lei vede questo rischio?
Quando ci saranno i decreti attuativi lo verificheremo.
Si mettono anche dei paletti sull’uso del trojan, cioè gli intrusori informatici…
La Cassazione ne ha già limitato l’uso ai reati di mafia e terrorismo e il governo, con la delega, prevede anche che se mentre indago per mafia, ad esempio, mi imbatto in una violenza sessuale o in una corruzione, quel tipo di intercettazione non vale come prova, ma se è telefonica o ambientale può essere utilizzata
Scusi la franchezza, ma le sue proposte sembrano scontate (ride, ndr)
Se un marziano scendesse sulla terra penserebbe la stessa cosa. Però, dovremmo spiegargli che noi, per rendere un effettivo servizio al cittadino, vogliamo velocizzare i processi, ridurre il numero dei procedimenti e aumentare gli organici (mancano 1200 magistrati e 9 mila amministrativi). Il problema è che abbiamo la sensazione che a volere questo siamo solo noi.