L’appartamento è modesto, ma di grande dignità. Due locali alle “case bianche” di via Salomone, quartiere popolare di Milano. Difficile, degradato, troppo spesso abbandonato. Alle pareti del bilocale ci sono passaggi del Corano incorniciati. Karim Mihoual e la moglie Hanane ci vivono con i tre figli. Sono marocchini e musulmani. Qui, ieri, hanno ricevuto la visita di papa Francesco. Parla commosso Karim: “Appena è entrato abbiano sentito i brividi”. Poi quel particolare che riassume, forse, il messaggio di Bergoglio. “Ha mangiato datteri e bevuto latte. Ho portato due bicchieri. Lui prima di bere ha preso il bicchiere e me lo ha offerto. Poi ha bevuto”. È iniziata qui, nella periferia est, la visita del pontefice. “Arrivo come sacerdote”, ha detto il papa che ha scelto di dare rigore e spirito francescano alla sua tappa ambrosiana.
Una scelta che ha coinvolto e convinto i milanesi. Erano oltre un milione ad attenderlo in una città blindata ma colorata. Che ha fatto da controaltare al deserto romano per le celebrazioni militarizzate dei 60 anni dei trattati che hanno dato vita all’Europa. Se il terrore dei black bloc ha paralizzato Roma, Francesco a Milano, invece, ha “illuminato” la periferia, ha dialogato e pranzato con i detenuti nel carcere di San Vittore. Ha parlato di integrazione, di multiculturalità.
“Abbracciate i confini”, ha detto Bergoglio al popolo ambrosiano. “Popolo chiamato a ospitare le differenze, popolo che non ha paura di dare accoglienza a chi ne ha bisogno”. Ha attraversato la città, fino al milione di pellegrini che lo hanno atteso al parco della Villareale di Monza. Il popolo, la quotidianità, la salvezza vissuta giorno dopo giorno. I bambini, incontrati nella tappa finale in uno stadio Meazza gremito. Oltre 80mila persone. Folla da derby.
Milano, 33 anni dopo Wojtyla, ha ritrovato il suo papa. Metropoli blindata, 3700 agenti impiegati. Ma nulla è accaduto. Solo la città, a 25 anni da Tangentopoli, dopo scandali anche recenti e politici corrotti, dopo gli sprechi e i flop di Expo – manifestazione criticata dal papa – ha forse ritrovato il suo spirito solidale riassunto bene in un vecchio detto meneghino: “Milan col coeur en man”. Nella capitale degli affari, delle lobby, degli interessi opachi, la visita del papa è per gli ultimi, per gli emarginati. E così con le autorità l’incontro è breve. A Linate, appena sbarcato dall’aereo poco prima delle otto di ieri. Un saluto al sindaco di Milano Beppe Sala e al governatore della Lombardia Roberto Maroni. E poi l’abbraccio con l’arcivescovo Angelo Scola. Bergoglio non concede passerelle. Dopodiché il breve tragitto per arrivare in via Salomone.
La periferia è già animata da ore. C’è nebbia che annuncia tanto sole e, come scriveva il Manzoni nei Promessi sposi, “quel cielo di Lombardia così bello quando è bello”. Lo sarà davvero. C’è la madonnina della Trecca rimessa a nuovo, dopo anni di veglia nel cortile popolare. “Io so – ha detto Francesco – che a Milano mi accoglie la madonnina in Duomo, ma anche grazie al vostro dono la madonna mi accoglie già da qui. È la premura, la sollecitudine della Chiesa, che non rimane nel centro ad aspettare, ma va incontro a tutti, nelle periferie, va incontro anche ai non credenti”. Qui dove ci sono i volti reali della città.
Vedovi, pensionati, rom. Ragazzini che fanno hip-hop di quartiere. Milanesi e stranieri che imparano, con difficoltà, a convivere, 427 famiglie stipate in due casermoni scrostati. La periferia urla: “Francesco”. Lui, prima di risalire in auto, si ferma in un bagno chimico.
Il sentimento di accoglienza e di integrazione lo si respira anche in piazza Duomo. Qui Bergoglio, dopo l’incontro con i vescovi, recita l’Angelus. Qui c’è Hamed, egiziano e musulmano che da ore attende. “Mi piace questo papa – spiega – perché lui parla bene di tutte le religioni e quindi anche io mi sento in diritto di vederlo”. I pellegrini discutono. La signora Carla di Gallarate dice: “È giusto che i preti si sposino”. Non tutti sono convinti. Silvia, accento brianzolo, concorda sull’accoglienza dei profughi “ma fino a un certo punto”. Carmela, siciliana, ribatte: “Non sono d’accordo, io ho lavorato a Lampedusa, Francesco ha ragione”. La Cgil, invece, ha preparato lettere di auguri. “Lui – dice Marco, sindacalista – è il nostro papa rosso. L’unico pontefice che parla del lavoro in modo serio”.
Lavoro e solidarietà in tempi in cui “si specula sulla vita, sul lavoro, sulla famiglia. Si specula sui poveri e sui migranti; si specula sui giovani e sul loro futuro”. Passaggi decisivi dell’omelia del papa. Letti a Monza davanti a un milione di pellegrini e davanti all’arcivescovo Angelo Scola, che ha poi abbracciato. Parole alle quali, un’ora prima, Francesco dà sostanza incontrando i detenuti del carcere di San Vittore. Qui in piazza Filangeri sono passati i banditi alla Vallanzasca, terroristi, mafiosi e i colletti bianchi di Mani pulite. Oggi, il 70% dei detenuti è straniero. Il papa li ha salutati a uno a uno. Con alcuni ha anche pranzato. Poi, in serata, il boato dello stadio Giuseppe Meazza. 80mila cresimandi. E di nuovo Francesco sceglie la strada della semplicità, perché a Davide, 7 anni, il quale gli chiede cosa, quando era piccolo, lo ha aiutato nella fede, il pontefice risponde: “Giocare”. Quindi chiede una promessa contro il bullismo: “Non dovete mai fare questo”. Milano ringrazia.