La questione del plagio (di controversa entità) compiuto dalla ministra della pubblica amministrazione Marianna Madia nella propria tesi di dottorato non può fermarsi alle responsabilità dell’interessata. Certo, visto che Madia ha superato la prova quando era già parlamentare, ci si sarebbe potuti aspettare da lei che non solo si attenesse agli standard di correttezza propri della comunità scientifica, ma li considerasse per sé perfino più esigenti.
C’è però un altro problema. Ed è che la vicenda si è verificata all’interno di quello che viene chiamato un po’ pomposamente “il sistema delle eccellenze” accademiche o scientifiche italiane. Più precisamente dentro l’Imt di Lucca. Un istituto che dovrebbe avvertire anch’esso un “di più” di responsabilità, proprio per la reputazione di cui ha inteso circondarsi dal momento della sua fondazione nel 2005. In sostanza testi copiati o scopiazzati con furbizia non dovrebbero nemmeno essere portati davanti alla commissione chiamata a nominare i dottori di ricerca. Sicché il fatto che ciò sia accaduto genera una serie di interrogativi. Proviamo a spiegare perché.
L’Imt di Lucca non è un’università. È, per propria definizione, esclusivamente un’alta scuola di dottorato e di ricerca. Ossia non deve sobbarcarsi il lavoro di formazione di massa che tocca a quasi tutti gli atenei. Ricerca e dottorandi, dottorandi e ricerca. Non fa altro. Come è dunque possibile che in questo contesto un dottorando possa ottenere il titolo accademico più ambito senza che il proprio lavoro di tesi sia stato sottoposto a un vaglio scrupoloso e continuativo?
Il grande pubblico legittimamente non lo sa. Ma nelle scuole di dottorato ogni allievo viene seguito da un tutor. Il quale non è affatto, come si è sostenuto in questo caso, un signore senza responsabilità per quel che arriva davanti alla commissione (di cui normalmente egli non può far parte, per evitare conflitti di interesse). Ma è una specie di angelo custode e al tempo stesso di garante della qualità del lavoro svolto. All’interno delle discipline di riferimento della scuola, egli coltiva in modo specialistico esattamente il filone di ricerca che viene scelto dal singolo dottorando. Specialistico, si badi. Tanto che quando nel collegio docenti quella specializzazione non esiste, il tutor può di regola essere cercato anche all’esterno. Di lui si ritiene che del filone di ricerca scelto dal dottorando conosca praticamente tutto. Libri importanti, saggi, teorie e ricerche di riferimento. Da qui l’affiancamento ad personam. Ed egli nel periodo di svolgimento del progetto di ricerca (12, 15, perfino 18 mesi), dà consigli di metodo, suggerisce e controlla amplissime bibliografie, discute le parti scritte, mette a fuoco le possibili debolezze dei capitoli, stimola sempre nuovi progressi, incoraggia una autonoma elaborazione teorica.
Naturalmente si può argomentare che nessuno studioso, per quanto preparato, possa avere letto tutte le pubblicazioni su un tema particolare, comprese le più modeste. È una argomentazione sensata. Che però si scontra con una obiezione indiscutibile. Che uno specialista, per giunta incaricato di seguire un numero limitatissimo di allievi (all’Università di Milano nessun docente può proporsi per più di due filoni di ricerca o può fare da tutor a più di due dottorandi per ciclo) avverte immediatamente un sapore di già visto, quasi un retrogusto, quando le citazioni fuori virgolette evocano contributi importanti. E ci va a colpo sicuro, registrando immancabilmente uno sbalzo di stile nella scrittura o di livello argomentativo, visto che si copia normalmente dai migliori. Insomma, chi copia è difficilmente molto brillante. Quando la letteratura spicca il volo (o migliora improvvisamente) è evidente che è entrato in scena un “candidato” sconosciuto. E lì tocca al tutor intervenire, controllare, dissuadere, esigere il rifacimento del paragrafo.
Ebbene, questo all’Imt di Lucca evidentemente non è successo. Come mai? Qualcuno ha abdicato ai propri doveri scientifici perché la dottoranda era una parlamentare? O, se non è stata un’eccezione, è questo il livello medio di tutoraggio che viene assicurato alla fede pubblica? Non sono domande oziose, perché da qui consegue una discussione franca sulle nostre eccellenze accademiche. Oltre che su come, in certe sedi scientifiche, si possa conseguire il dottorato; che è questione di giustizia, visto che essere ammessi a frequentarlo è il risultato di una competizione dalla quale, pure all’Imt, restano fuori molti giovani motivati anche a un duro impegno.
Insomma il problema non riguarda solo la ministra. In ogni caso, se è lecito un consiglio, c’è un rimedio sovrano: trasmettere il piacere di studiare e di faticare in autonomia di pensiero e di ricerca. A quel punto copiare non sarà una furbata. Ma una mesta umiliazione.