Leggi promesse, annunciate, appuntate al petto come medaglie, poi dimenticate in qualche commissione per mesi o per anni. Molte sono ferme in Senato, dove la maggioranza traballa e il potere di veto dei piccoli gruppi (leggi Alternativa Popolare) è più alto. Lo spartiacque è sempre lo stesso: il referendum costituzionale del 4 dicembre. Matteo Renzi, giocandosi la poltrona, ha congelato i lavori parlamentari. Dal cambio della guardia con Paolo Gentiloni è cambiato poco: tra le leggi arenate a Palazzo Madama ha visto la luce solo il decreto sulla Protezione civile. Dopo una lunghissima melina, anche il ddl concorrenza è approdato in questi giorni alla discussione in aula (anticipato dall’ironia del ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda: “Più che una legge annuale sta diventando un piano quinquennale”). Invece la riforma del codice penale, che comprende la nuova disciplina sulla prescrizione, ha ottenuto il sì di Palazzo Madama ben mille giorni dopo quello della Camera, ma il testo è stato modificato e dovrà tornare a Montecitorio.
Conflitto d’interessi – Il testo è stato approvato alla Camera il 28 febbraio 2016 e poi congelato in commissione Affari costituzionali al Senato. L’ultima volta che se n’è discusso è stato il 4 ottobre 2016. Poi il definitivo oblio. Eppure il mito di questa legge affonda le sue radici nel ventennio berlusconiano. È stato il peccato originale dei dirigenti ulivisti, la pietra angolare della rottamazione, molto prima che si materializzasse sulla scena Renzi. Un ritornello ripetuto da lustri: “Ma perché quando avete governato non avete fatto una legge sul conflitto d’interessi?”. Il toscano l’ha resa una sua bandiera. Il 16 novembre 2012, dal palco della Leopolda: “Faremo la legge nei primi 100 giorni”. Preso Palazzo Chigi, il rilancio di Maria Elena Boschi al Corriere della Sera (7 maggio 2015): “Ora tocca al conflitto d’interessi”, “lo porteremo in aula già nelle prossime settimane, se tanti dei nostri ex leader ed ex premier avessero messo lo stesso impegno o la stessa tenacia (…) non toccherebbe a noi e avremmo già una legge”. E invece aspettiamo ancora.
Ius Soli – La cittadinanza ai figli di stranieri nati in Italia è un cavallo di battaglia renziano: Matteo aveva firmato una legge di iniziativa popolare già da sindaco di Firenze. La sua lista degli annunci è lunga: “Il parlamento approvi lo ius soli” (giugno 2013), “Ci sono battaglie che vanno fatte, lo ius soli è una di queste. Credo che La Pira apprezzerebbe” (26 novembre 2013), “Avanti con lo ius soli” (13 luglio 2015). Si potrebbe continuare. Altre promesse in ordine sparso: lo scorso ottobre l’ex presidente della commissione Affari costituzionali, Anna Finocchiaro (Pd), rassicurava i rappresentanti delle associazioni per la cittadinanza: bisognava solo aspettare il referendum, dal 5 dicembre ogni giorno sarebbe stato buono per l’approdo in aula. Poi Matteo Orfini, il 22 febbraio a La Stampa: “Lo ius soli è incomprensibilmente bloccato in Senato: un governo forte e autorevole come il nostro, di fronte a italiani lasciati senza diritti, può pensare ad aiutare l’approvazione con la fiducia”. Il testo è ancora in commissione (Affari costituzionali, Senato).
Reato di Tortura – Ci sono leggi approvate in due settimane: basta la volontà politica. Poi c’è il testo sul reato di tortura: arriva in commissione Giustizia del Senato il 22 luglio 2013, viene approvato in aula il 5 marzo 2014; resta in commissione alla Camera dal 6 maggio 2014 al 19 marzo 2015, dove viene approvato con modifiche dopo la sentenza della Corte di Strasburgo sulla “macelleria messicana” della Diaz durante il G8 del 2001. È stato nuovamente modificato in commissione Giustizia, al Senato, quindi dovrà essere riapprovato a Palazzo Madama e tornare di nuovo alla Camera. Un calvario infinito. Il giorno dopo la sentenza della Corte europea, Renzi si era limitato a twittare: “Quello che dobbiamo dire, lo dobbiamo dire in Parlamento con il reato di tortura”. Ancora più risoluto, il capogruppo del Pd al Senato, Luigi Zanda (luglio 2016): “La norma verrà approvata prima della pausa estiva”. Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, è ancora ottimista: “Siamo nella fase degli emendamenti – ha dichiarato poche settimane fa – mi pare che ci sia la corsia libera in Senato per arrivare in fondo”. Non c’è fretta, siamo in ritardo di 30 anni: la Convenzione dell’Onu sulla tortura è stata adottata il 10 dicembre 1984 e ratificata il 27 giugno 1987.
Legge sui partiti – Il relatore è Matteo Richetti, portavoce della mozione Renzi per le primarie. Dovrebbe “portare democrazia e trasparenza nelle formazioni politiche”. Per i più maliziosi, serve a “squalificare” il Movimento 5 Stelle. In ogni caso, è ferma: approvata alla Camera il 9 maggio 2016, subito dopo è stata affidata alla commissione Affari costituzionali del Senato (sempre lei): non è iniziato nemmeno l’esame sul testo.
Legge sull’Omofobia – Approvata alla Camera addirittura nel 2013, prima delle Unioni civili, ha iniziato l’esame in commissione Giustizia al Senato esattamente tre anni fa. È congelata, non se ne discute nemmeno più dal 17 maggio 2016.
Cyberbullismo – La legge è stata approvata al Senato il 5 marzo 2014, modificata dalla Camera il 9 aprile 2015, nuovamente modificata dal Senato il 31 gennaio 2017 (cancellando tutte le modifiche apportate dai deputati). Ora è di nuovo in transito a Montecitorio per la quarta lettura.
Codice antimafia – Le “Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione” sono state presentate alla Camera il 15 marzo 2013, approvate l’11 novembre 2015 a Montecitorio. Solo questa settimana è iniziato l’esame degli emendamenti in commissione Giustizia al Senato.