Incubo a 5Stelle: a leggere le cronache dei giornali sulle primarie Pd questo sarebbe il motivo primo che ha incrementato le code ai gazebo, in forte calo rispetto a quattro anni fa, ma pur sempre un fenomeno di massa in tempi grami di partecipazione politica. Difficile che un milione e ottocentomila persone si mettano in fila tutte spinte dalla paura, mamma mia, di Grillo e Di Maio. Ma forse domenica scorsa abbiamo assistito all’ennesima declinazione del voto “contro”: il voto argine. In qualche modo era già accaduto alle Europee del 2014, quando il famoso 41 per cento di Matteo Renzi fu anche la conseguenza di una certa ansia dell’elettorato cosiddetto moderato, favorevole alla rivoluzione M5S, ma senza esagerare.
Perché le battaglie anti-casta vanno bene e così la lotta al malaffare, e però consegnare da un giorno all’altro il governo del Paese a un movimento di bravi ragazzi, per carità, ma dal progetto piuttosto nebuloso, è tutt’altra musica. Oggi, sul piano del consenso Pd e 5Stelle tendono a gravitare sullo stesso insediamento sociale: ceti medi falcidiati dalla crisi, mondo decaduto delle professioni, precariato intellettuale. In questo serbatoio di rabbia, protesta e delusione, il MoVimento ha fatto il pieno attestandosi, secondo i sondaggi, intorno al 30% che è tanta roba, tuttavia molto lontano dal premio di maggioranza dell’attuale sistema fissato al 40%. Mentre il Pd non si schioda dal 27-28 %, decimale più o meno.
Al di là delle meccaniche elettorali, in ballo ci sono quei tre o quattro o cinque milioni di voti su cui alle prossime elezioni si giocheranno il primato Renzi, Grillo, più Berlusconi e i suoi derivati. Pensiamo davvero che tre giorni fa il popolo delle primarie si sia messo in fila (versando 2 euro) per gridare altra rabbia, protesta, delusione? O perché spera fortissimamente che Renzi torni senza se e senza ma a Palazzo Chigi? O non è semplicemente che quella scheda rappresentava il consueto salvagente dell’italiano smarrito: il male minore (variazione del votare Dc turandosi il naso di montanelliana memoria)? Oggi per quelle persone (e non soltanto per esse) il male maggiore è rappresentato dall’incertezza di chi e cosa verrà dopo; dal timore che il tanto auspicato cambiamento metta in crisi i pochi riferimenti rimasti.
Infatti, dalla cavalcata delle valchirie che fu la comunicazione politica di Renzi si è trasformata nello spot della camomilla. Di Berlusconi si sa solo che si è rotto un labbro agevolandone il silenzio propizio. Restano l’agitatorio Matteo Salvini, da mesi fermo a un lusinghiero 13% ma che da solo serve a poco. E poi c’è il M5S, che non fa della forza dei nervi tranquilli lo stile politico. Soltanto nell’ultimo mese, il blog di Grillo, la piattaforma Rousseau e i lapilli di Luigi Di Maio, sembravano l’Etna in eruzione. Evocata l’uscita dalla Nato (“ridiscutere la presenza dell’Italia”). Critiche a testa bassa contro “l’intermediazione e i privilegi dei sindacati tradizionali” (Cgil, Cisl, Uil). Riesumazione del referendum NoEuro. Attacco alle ong “cattive” che in combutta con gli scafisti criminali agiscono da “taxi” per i clandestini alla deriva.
Senza contare la guerra permanente contro l’informazione “asservita” (rinfocolata dal discutibile rapporto di Reporter sans Frontières sulle responsabilità del comico). Ora, prese una per una possono essere battaglie non prive di fondamento. La Nato costa e la Guerra fredda appartiene all’altro secolo. Il ceffone Alitalia rappresenta il punto più basso di un sindacato in crisi di rappresentanza. Su certe ong anche l’Osservatore Romano ha espresso dubbi. E così via. Ma la somma dei tanti fronti aperti, e tutti insieme, rischia di creare domande senza risposta.
Nell’Italia governata dai 5Stelle, se usciamo dall’euro che ne sarà dei miei risparmi? E senza più lo scudo Nato saremo alla mercé del Putin di turno? E noi milioni che versiamo l’otto per mille al volontariato possiamo accettare che l’opera di tante brave persone venga diffamata per qualche mela marcia? Infine, non è che poi diremo che era meglio quando era peggio?