Nella discussa disciplina dei vitalizi degli ex onorevoli (qui la petizione del Fatto Quotidiano), il Parlamento italiano si è inventato – suo malgrado – un nuovo dettaglio farsesco: il contributo di solidarietà per una Camera sola. Un mese e mezzo fa a Montecitorio il Pd ha fatto approvare un micro taglio sulle super pensioni degli ex deputati, ma in queste settimane si è scordato di fare lo stesso a Palazzo Madama. E non sembra avere nessuna intenzione di risolvere il problema: domani si riunisce finalmente il consiglio di presidenza del Senato ma all’ordine del giorno non è prevista nessuna delibera per equiparare il trattamento degli ex onorevoli.
Per spiegare come si è arrivati a questo punto, serve un passo indietro. Lo scorso 22 marzo si riunisce l’Ufficio di presidenza della Camera. Si deve discutere la proposta del M5S: equiparare il regime previdenziale dei deputati in carica con quello dei lavoratori pubblici e privati (soprattutto in relazione all’età in cui si matura la pensione). Il Pd però ribalta il tavolo: boccia la proposta grillina e fa approvare la delibera della sua deputata Marina Sereni (vicepresidente della Camera): un contributo di solidarietà una tantum della durata di tre anni, per tutte le pensioni degli ex deputati superiori ai 70mila euro (il 10% fino a 80 mila euro, il 20% da 80 mila a 90 mila euro, il 30% per cento da 90 mila a 100 mila euro e il 40% per quelli superiori ai 100 mila euro annui).
Si tratta di briciole, per i conti pubblici: il risparmio totale che ne deriva è di 2,4 milioni di euro (l’1,7% dei 139 milioni a bilancio a Montecitorio). La misura riguarda solo un ex deputato su cinque. I Cinque Stelle si infuriano (fanno irruzione negli uffici della presidenza, 42 onorevoli hanno poi subito provvedimenti disciplinari), il Pd esulta: “Una misura di equità e rigore. Anziché la propaganda a noi stanno a cuore i dati concreti”. Un contentino per l’opinione pubblica, affamata di misure “anti Casta”. Anzi: mezzo contentino.
La delibera Sereni è entrata in vigore per gli ex deputati il primo maggio. I senatori avevano 39 giorni di tempo per approvare un testo che producesse gli stessi effetti ed evitare un’asimmetria imbarazzante. Non solo non l’hanno ancora fatto, ma non ci sono andati nemmeno vicini.
Domani, come detto, si riunisce il consiglio di presidenza del Senato, l’organo che si dovrebbe occupare della faccenda. All’ordine del giorno ci sono solo la proposta della 5Stelle Laura Bottici (che ripropone la delibera grillina sulle pensioni già bocciata a Montecitorio) e la proroga della riduzione delle indennità parlamentari e delle competenze accessorie.
Sulla questione vitalizi, i senatori del Pd sono fermi. Lo riconosce anche la renziana Rosa Maria Di Giorgi, vicepresidente del Senato (che siede quindi nel consiglio di presidenza): “Non abbiamo preparato nessun testo. Sulla delibera Sereni pendono già dei ricorsi di alcuni ex parlamentari. Attenderemo l’esito e poi valuteremo il da farsi”.
Insomma, la “misura di equità e rigore” sui vitalizi del Senato non è un’urgenza. Anzi, i senatori dem fanno proprio melina: il 7 giugno si riunisce il Consiglio di giurisdizione della Camera, che potrebbe sospendere la delibera Sereni – e quindi il contributo di solidarietà – sulla base del ricorso presentato da alcuni ex onorevoli (capitanati da un vecchio eroe del berlusconismo, l’avvocato Maurizio Paniz). Prima di allora, i vitalizi dei senatori non si toccano (e gli unici a pagare sono gli ex deputati). È un buffo bluff, quello del Pd: i deputati approvano un taglio, i senatori aspettano che venga sospeso.