“Vuoi risparmiare fino al 40% sul costo del lavoro? Rivolgiti a noi”. Di fronte a un annuncio del genere, qualsiasi imprenditore cadrebbe in tentazione. Il problema è che spesso offerte come questa suggeriscono un semplice trucco: esternalizzare in maniera irregolare la manodopera. Creare una sorta di appalto fittizio, incaricando una ditta che, attraverso sotterfugi, paga meno i suoi dipendenti. È una pratica che, dopo aver vissuto una rapida crescita, è esplosa nell’ultimo anno.
Dall’inizio del 2016, quando il Parlamento ha depenalizzato la somministrazione abusiva, oltre ai distacchi e agli appalti illeciti, l’aumento di questo genere di violazioni è stato del 39%. Un’escalation che è testimoniata dalla relazione annuale dell’Ispettorato del Lavoro. Questi numeri, inoltre, hanno fatto scattare già da tempo l’allarme al Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, che sta concentrando i suoi sforzi per denunciare e combattere questi illeciti. L’ordine professionale chiede che tornino a costituire reati, con pene più severe di quelle previste fino a fine 2015, troppo blande, le quali non erano riuscite ad arginare il fenomeno.
Questa frammentazione nel mondo del lavoro è una diretta conseguenza della crisi economica: le aziende hanno iniziato a portare sempre più verso l’esterno i processi produttivi, a volte senza rispettare le leggi e con l’unico obiettivo di farsi la “cresta” sui contratti di operai e impiegati. Un metodo ben collaudato è quello delle cooperative multiservizi che, inquadrando i dipendenti come “soci lavoratori”, arrivano a pagare stipendi di soli 6 euro all’ora. Cifre distanti dai minimi previsti dalla contrattazione collettiva di settore. Per molti datori, alle prese con spese di personale che possono raggiungere il 70% di quelle totali, è un buon motivo per mettere da parte l’etica, soprattutto in tempi di magra. I radar dei consulenti del lavoro hanno permesso di segnalare circa 200 casi. “Ma è solo la punta dell’iceberg – avverte Rosario De Luca, presidente della Fondazione Studi di categoria – Non è facile intercettarli tutti. I nostri iscritti stanno facendo di tutto, perché siamo per la regolarità, e questi comportamenti, oltre a essere vietati, sono reati sociali, compiuti a danno di chi vive in stato di bisogno”.
Qualche volta si rischia di sconfinare nel vero e proprio caporalato, con severe punizioni previste dalla riforma approvata a novembre 2016. Quando però i metodi utilizzati sono più subdoli, rispetto all’intermediazione illecita, non c’è più la possibilità di perseguirli penalmente. Un esempio è la somministrazione di lavoro: la manodopera “in affitto” che la legge Biagi ha introdotto, nel 2003, assieme a norme che servivano appunto a evitarne l’uso distorto. Una società (somministratore) fornisce personale a un’altra impresa, che utilizza questi lavoratori. Per svolgere questo ruolo di tramite, bisogna essere autorizzati; altrimenti, si compie una somministrazione abusiva. Fraudolenta quando c’è il chiaro obiettivo di aggirare norme e contratti. Come detto, era un reato fino a febbraio 2016, senza pene detentive ma con ammenda di 50 euro – maggiorata in caso di dolo – per ogni lavoratore e per ogni giornata di utilizzazione. Poi, la politica ha rimosso la conseguenza penale, che resta solo quando vengono pure sfruttati dei minorenni, portando da 5mila a 50mila la sanzione pecuniaria.
Lo stesso discorso è stato fatto per i casi illeciti di appalto, subappalto e distacco. Parliamo di quest’ultimo caso quando un datore di lavoro mette i suoi dipendenti a disposizione di un altro soggetto per un determinato periodo. Chi pone in essere queste forme di esternalizzazione al di fuori dei parametri fissati dalla legge rischia il verbale minimo di 5mila euro ma non subisce un processo penale perché anche questa violazione è stata trasformata in illecito amministrativo. L’obiettivo era quello di puntare esclusivamente su alte sanzioni economiche per disincentivare queste pratiche: per il momento, i risultati dicono che non sono affatto diminuite, anzi sono aumentate e di parecchio.
È stato lo stesso capo dell’Ispettorato Paolo Pennesi a ipotizzare che le depenalizzazioni possano aver “attenuato la deterrenza”. Perché mentre tra il 2014 e il 2015 le violazioni a seguito dei controlli sono passate da 8.320 a 9.620 (+16%), nel 2016 sono arrivate a 13.416 (+39%). Il settore più colpito è quello del trasporto e magazzinaggio: qui le ipotesi di violazione riscontrate sono 3.327, più che raddoppiate rispetto al 2015. Subito dopo c’è quello di noleggio, agenzie di viaggio e supporto alle imprese con 2.228 casi, seguito dal manifatturiero con 1.546. Significativo anche il contributo dei servizi di informazione e comunicazione (1.341) e delle costruzioni (1.213). I territori maggiormente interessati da questi fenomeni sono in ordine Lombardia, Lazio, Veneto, Abruzzo ed Emilia Romagna. Per completezza, a questo incremento ha contribuito anche “l’affinamento delle tecniche di accertamento dei comportamenti elusivi”, si legge nella relazione. Ciò che preoccupa maggiormente, però, è appunto la “professionalità” che mette in mostra chi compie questi illeciti. “Gli annunci si trovano con siti web – ha detto Pennesi a Labitalia – che propongono veri e propri raggiri delle norme. Rispetto al passato, sono più brutali”.