Venerdì, alla scoperta che Tiziano Renzi, sospettando di essere intercettato, raccontava in giro di aver saputo delle indagini Consip dal nostro Marco Lillo per nascondere le sue vere talpe, e poi ebbe pure la spudoratezza di ripeterlo a verbale davanti ai pm di Roma, ci siamo fatti una risata. Ecco da chi ha preso Matteo Pinocchio: dal babbo Geppetto. Poi ci siamo chiesti come possano i pm di Roma pretendere che il capitano Scafarto prendesse sul serio quella patacca e contestargli di non averla riferita. Il Noe aveva montagne di prove del fatto che babbo Renzi sapeva delle indagini dai primi di ottobre 2016, dunque è assolutamente normale che abbia ignorato la pista Lillo (che ebbe con Renzi sr. un breve scambio di sms un mese dopo, il 2 novembre, sull’inchiesta di Genova per il crac Chil Post).
Se, puta caso, il fantasioso vecchietto avesse detto che le indagini gliele aveva spifferate la Madonna di Medjugorje, il capitano avrebbe dovuto fare rapporto anche su quello? Abbiamo smesso di ridere quando ci siamo domandati: come daranno la notizia i giornali? Lillo era tranquillo: la bufala era troppo grossolana, e poi l’avevano chiamato i cronisti giudiziari di alcuni quotidiani (eccetto Corriere della Sera e Stampa), ai quali aveva mostrato il suo unico scambio di sms con Tiziano nell’autunno 2016, quello di novembre. Siccome tutti i colleghi, anche quelli che non si erano scomodati a verificare la notizia, hanno scritto e riscritto che il sindaco di Rignano Daniele Lorenzini situa a inizio ottobre la soffiata istituzionale a babbo Renzi, abbiamo pensato che nessuno avrebbe dato peso alla bufala.
Ma dei giornaloni, quelli che la menano contro le fake news altrui, non si riesce mai a pensare abbastanza male. Infatti, ecco il Corriere: “Le telefonate intercettate di Tiziano Renzi: omissioni e nuovi sospetti”. E il nuovo caso è questo: Scafarto attribuisce le fughe di notizie ai vari Lotti, Del Sette, Saltalamacchia e Vannoni (indagati sia a Napoli sia a Roma), ma “in realtà nelle telefonate intercettate è lo stesso Tiziano Renzi a raccontare di essere stato avvertito dell’inchiesta in corso ‘da un giornalista del Fatto Quotidiano’. I controlli sui tabulati confermano che effettivamente ci sono stati scambi di sms sin da novembre”. E Scafarto questa frase non la riporta, dunque gatta ci cova: vuoi vedere che Lotti, Del Sette, Saltalamacchia e Vannoni sono innocenti e il colpevole è Lillo? Sarebbe bastato chiamarlo, per conoscere il contenuto di quegli sms. E sarebbe bastato ricordare ciò che lo stesso Corriere ha scritto varie volte, e cioè che papà Renzi sapeva tutto da inizio ottobre, per smontare la baggianata.
Ma la nuova frontiera del giornalismo esclude categoricamente la verifica delle notizie: i fatti non devono disturbare le opinioni. Era già avvenuto quando Corriere, Repubblica e Messaggero tagliuzzarono un sms di Di Maio alla Raggi per fargli dire il contrario di ciò che aveva detto su Marra e dargli del bugiardo: se l’avessero chiamato per controllare, non avrebbero potuto dargli del bugiardo, perché quello avrebbe messo a loro disposizione l’sms integrale, come poi fece dimostrando che i bugiardi erano loro.
La Stampa non ha dubbi: “Tiziano Renzi seppe dell’inchiesta da un giornalista”. E il capitano Scafarto è certamente in malafede, perché “non vede cose evidenti, che erano sotto i suoi occhi”. Quali? Le “due conversazioni telefoniche” in cui babbo Renzi “aveva detto apertamente di aver avuto la notizia dal giornalista del Fatto Marco Lillo”. Certo, “potrebbe aver saputo dell’indagine anche da altre persone”. Ma va? C’è la testimonianza giurata di Lorenzini che parla del generale Saltalamacchia e racconta di averlo sentito parlare a inizio ottobre con Tiziano dell’inchiesta di Napoli nella famosa “braciolata” a Rignano: questo però La Stampa non lo ricorda, altrimenti le crollerebbe tutto l’articolo e non potrebbe scrivere che “sorge spontanea la domanda sul perché l’ufficiale non abbia riportato nell’informativa le telefonate in cui Renzi sosteneva di essere stato informato dal giornalista”. Una versione 2.0 della regola aurea del giornalismo “i fatti separati dalle opinioni”: via i primi per non smentire le seconde.
Il Messaggero, bontà sua, scrive che nemmeno i pm di Roma credono alla patacca su Lillo. Ma, per non perdere l’abitudine, piazza un’altra balla: la mancata annotazione della patacca su Lillo sarebbe uno degli “altri falsi” contestati al capitano. Invece l’unico falso finora accertato è il titolo del Messaggero: a Scafarto i pm non hanno contestato nuovi falsi oltre ai due del primo avviso di garanzia (lo scambio Romeo-Bocchino e la spia che non era una spia).
E così, mentre tentano di dimostrare che Scafarto sbagliò e omise in malafede, i giornaloni fanno di tutto per dimostrare che in malafede sono i loro errori e le loro omissioni, ribaltando e nascondendo elementi d’indagine che conoscono benissimo. Ma noi, a dispetto dell’evidenza, ci ostiniamo a credere che siano solo dei gran boccaloni. E, sperando che ci caschino, regaliamo loro altri due scoop mondiali, ovviamente occultati da Scafarto. Ricordate Marroni che fa bonificare gli uffici Consip dalle microspie del Noe? Marroni non fu avvertito dal suo presidente Ferrara, a sua volta avvisato dal generale Del Sette: la talpa era Ferruccio de Bortoli che ora, per confondere le acque, tira dentro al caso Etruria quella santa donna della Boschi. Ricordate i due pizzini recuperati dal Noe nella spazzatura del gruppo Romeo con su scritto “30 mila euro al mese a T. e 5 mila ogni due mesi a C.R.”? Non li ha scritti Alfredo Romeo: sono stato io, nascosto in un cassonetto. Cari colleghi, già pregustiamo i vostri titoli di dopodomani: non deludeteci.