“La responsabilità di uno scrittore non è mai stata grande come oggi perché le parole non si sono mai incarnate così rapidamente nella realtà. Basta una tetra parola d’ordine, una trovata da caffè, per cambiare in peggio il volto del mondo che sembra disposto a subire passivamente ogni trasformazione”. Lo scrive Pietro Citati ne I frantumi del mondo e non è solo per un’assonanza che questa frase dice molto di un altro libro, che s’intitola Tutto è in frantumi e danza (da un verso di una canzone dei Doors). Gli autori sono Edoardo Nesi e Guido Maria Brera, delle cui biografie qui c’importa dire che sono un vinto e un vincitore: l’imprenditore ha dovuto vendere l’azienda che era della sua famiglia da tre generazioni a causa di una crisi su cui invece è scivolato con il vento a favore il finanziere Brera. In perfetto equilibrio su una deriva, come sopra il surf. Il dialogo tra i due è il tentativo di dipanare una trama di sigle volutamente oscure, di raccontare la storia di questi anni e rendere accessibile la complessa “questione economica”, affrontando temi tabù (l’euro, la Cina) e tendendosi lontano da i luoghi comuni (non c’è mai la parola populismo). Il libro comincia con la fine del Secolo breve, mentre albeggia il Millennio e la sua luce illumina i sogni del mondo. Tutto diventa più veloce e vicino: l’euforia delle magnifiche sorti progressive è tale che non si sentono i primi scricchiolii dell’ingranaggio celeste, che è il sottotitolo del libro. C’era una volta il tempo in cui la qualità di un Paese si misurava sulle condizioni degli ultimi.
Cosa capita all’ingranaggio celeste?Brera: Sono quattro i fattori che stravolgeranno il mondo: la globalizzazione, l’impatto di Internet sul mercato del lavoro, l’introduzione dell’euro, l’abolizione della legge bancaria che negli Stati Uniti prevedeva la separazione tra banche commerciali e banche d’investimento, che ha portato alla bolla immobiliare americana e al crac Lehman.
Il libro è attraversato dalla nostalgia per l’età dell’oro, quel momento in cui i diritti erano acquisiti, la disoccupazione non era ancora un fenomeno preoccupante, l’ascensore sociale funzionava: quando si poteva davvero cantare The best is yet to come.Nesi: Di per sé la nostalgia non è una cosa negativa, è una condizione dell’animo che si verifica quando ci manca qualcosa che abbiamo avuto e non abbiamo più. La nostalgia della giovinezza è naturale: eravamo più giovani, più liberi, più belli. La vita davanti. Ma che succede se si prova nostalgia per un passato che oggettivamente era meglio del presente? E se la nostalgia è l’unico modo per sopravvivere al futuro? Per me il fatto che la figlia un mio operaio potesse andare in viaggio di nozze in Polinesia era il simbolo di una conquista. Come lo erano i diritti dei miei dipendenti: ero felice di pagare le tredicesime, felice di assumere i disabili. Era una società più giusta e a me piaceva.
Brera: Mentre il lutto lo attraversi superando una perdita, la nostalgia del passato è più sfuggente. Sai che stavi meglio, ma non sai cos’hai perso. Ciò che in questi anni abbiamo vissuto tutti noi– vinti e vincitori – è una guerra tra generazioni e parti sociali. E la disgregazione della comunità dà malinconia.
A un certo punto vi scontrate con l’indicibile: Trump dice alcune cose che pensate anche voi…Nesi: Lo sforzo che abbiamo fatto è stato provare a raccontare le cose in modo laico. Poi fatalmente bisogna confrontarsi con le opinioni politiche. Tutto ciò che ho sempre pensato fosse necessario fare per salvare la miriade di piccole e medie imprese italiane, Trump l’ha riferito al tessuto produttivo della più grande economia del mondo. Ma il problema non si risolve con le battute di Trump o con le nostre, pur giustificate, lamentele. Quando Trump dice che bisogna cambiare le regole dei rapporti con la Cina ha ragione, poi bisogna vedere se lo fa. Tra l’altro la Cina conserva ancora la possibilità di mettere dazi sulle importazioni perché – incredibilmente – ha ancora lo status di economia in via di sviluppo.
Brera ha detto a proposito della crisi greca: “Non era Papandreou a governare la Grecia. Eravamo io e quelli come me. Se una riforma non ci convinceva, intensificavamo la pressione in vendita e costringevamo il governo di Atene a sostituirla con una più dura”. Coraggiosa ammissione di responsabilità. Brera: Nessuno vuole raccontare che la finanza ha preso il posto della politica ed è diventata una strumento di biopolitica: imporre riforme vuol dire incidere sulla carne viva delle persone. Ma la finanza non l’ha mai chiesto. Se la politica fa un progetto costituente attorno all’euro e poi nel 2010 due signori, in una passeggiata sulla spiaggia di Deauville, ci dicono che uno Stato può fallire, chi detiene il debito di quello Stato lo vende. E io così ho fatto perché è il mio lavoro, pur perdendoci il sonno.
Sottolineate un passaggio di status: da cittadini a consumatori. Nesi: Il fast fashion ci consente di comprare merce a poco prezzo, che vale quanto costa anche in termini di percezione da parte dell’acquirente. Abbiamo molti beni di consumo e meno diritti. Quasi tutti hanno lo smartphone e la pay-tv, ma è una gratificazione superficiale: la società è completamente bloccata. Perfino chi ha un lavoro fatica a campare.
Uno dei quattro cardini è l’euro, accolto con grandi speranze e senza troppe domande. Brera: Jean Monnet pensava che l’Europa sarebbe nata da grandi crisi. L’euro si basa sul sistema dei cambi fissi, che da solo non riesce a funzionare. Doveva avere la spinta costituente, ma non è stato fatto nessun altro passo verso l’unificazione politica: così il sistema non può funzionare. Vogliamo tornare indietro? La frittata è fatta, le uova sono rotte e riportare tutto allo stadio preesistente temo sia troppo costoso. È tardi. Credo che chi fa il mio lavoro sia il vero giudice, più degli accademici. Mentre nelle università si fanno dotti dibattiti sull’argomento, la gente muore di fame.
Come si esce da una situazione in cui il lavoro è diventato il capro espiatorio?Nesi: Bisogna sapere che lo spazio d’azione della politica, anche quando ha le migliori intenzioni, è ridotto. Non può arrivare a toccare il cuore del problema: la finanza è molto più potente. O si tocca la natura della globalizzazione, il principio di libero mercato nel commercio mondiale, o non se ne esce. La triste sensazione che ho avuto stando in Parlamento è che si può fare poco. Le nostre aziende manifatturiere sono riuscite a sopravvivere elevando di qualità la produzione, ma producendo molto meno e vendendo meno pezzi a prezzi superiori. Per far questo però ci vogliono meno lavoratori. Qui bisogna mettere la mani, altrimenti non potremo difendere l’occupazione.
Brera: Il patto generazionale si è rotto: i giovani o non hanno lavoro o sono precari, probabilmente non avranno una pensione. Ma sono gravati anche dal debito enorme dello Stato. La società ha deciso, pur inconsapevolmente, di scambiare diritti con merci a basso costo. Bisognerà che i pochi che hanno molto capiscano che devono condividere con i moltissimi che hanno poco.